Sole 24Ore
Ed. del 20.12.2011 - pag. 39
Alessandro Galimbertl
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Scatta la dichiarazione fraudolenta
Per la Cassazione l'utilizzo dei documenti integra una fattispecie più grave della dichiarazione infedele
MILANO - Portare in detrazione come spese mediche fatture false, apparentemente emesse da cliniche private, integra il reato di «dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» (l’articolo 2 del Dlgs 74/2000) e non invece la più blanda contestazione di «dichiarazione infedele» (articolo 4 dello stesso decreto). Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (terza sezione penale, sentenza 4678s/11 depositata il 19 dicembre) annullando l’ordinanza del tribunale di Napoli che aveva a sua volta cancellato il sequestro preventivo per equivalente emesso dal Gip nei confronti di una contribuente “infedele”. La donna, stando alle indagini della procura della Repubblica, avrebbe infatti portato in detrazione Irpef del 19% una serie di asserite «spese mediche» giustificate con fatture false e documenti equipollenti risultati materialmente falsi.
Censurata dal Gip, che aveva congelato parte dei suoi beni per garantire la pretesa fiscale, la contribuente era stata provvisoriamente riabilitata dal tribunale di Napoli. Sulla base dell’assunto che l’articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di false fatture) «è configurabile solo nell’ipotesi di utilizzazione di fatture ideologicamente false, mentre l’ipotesi della documentazione materialmente falsa (come quella in questione, ndr) deve essere sussunta nella fattispecie di cui all’articolo 3 (. .. ) che punisce la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ovvero in quella della dichiarazione infedele di cui all’articolo 4». Ma la Cassazione.
ha a sua volta censurato la riforma in sede di impugnazione del sequestro preventivo, richiamando due precedenti (9673/1l e 12284/2007), secondo cui la dichiarazione fiscale fraudolenta (articolo 2) è integrata da fatture false «non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni ivi indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente». Questo perché, argomenta la Cassazione, «la distinzione tra falsità ideologica e falsità materiale introduce in materia tributaria una distinzione destinata a operare nel campo dei reati contro la fede pubblica, che non ha rilevanza ai fini della repressione delle violazioni fiscali, per le quali rileva invece il mezzo adoperato per commettere la frode ed il suo carattere più o meno subdolo, che incide sulla possibilità di un rapido e agevole accertamento». In sostanza, ciò che conta per la dichiarazione fraudolenta è la «apparente affidabilità della documentazione contabile corrispondente allo schema normativo, cui la legge collega determinate conseguenze in materia fiscale»: quanto più la fattura è idonea a ingannare il fisco, tanto più alta sarà la pericolosità sociale della condotta, e quindi la necessità di una risposta sanzionatoria adeguata. E inoltre, mentre l’articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) presuppone l’esistenza di «scritture contabili», confinando cioè la contestazione a chi è obbligato per legge a tenerle, l’articolo 4 (dichiarazione infedele) si occupa di comportamenti di «evidente minore offensività per l’amministrazione tributaria», e quindi prevede una soglia di non punibilità, inammissibile per un’insidia nascosta quale è l’esibizione di fatture mediche false.
Censurata dal Gip, che aveva congelato parte dei suoi beni per garantire la pretesa fiscale, la contribuente era stata provvisoriamente riabilitata dal tribunale di Napoli. Sulla base dell’assunto che l’articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di false fatture) «è configurabile solo nell’ipotesi di utilizzazione di fatture ideologicamente false, mentre l’ipotesi della documentazione materialmente falsa (come quella in questione, ndr) deve essere sussunta nella fattispecie di cui all’articolo 3 (. .. ) che punisce la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ovvero in quella della dichiarazione infedele di cui all’articolo 4». Ma la Cassazione.
ha a sua volta censurato la riforma in sede di impugnazione del sequestro preventivo, richiamando due precedenti (9673/1l e 12284/2007), secondo cui la dichiarazione fiscale fraudolenta (articolo 2) è integrata da fatture false «non solo sotto il profilo ideologico, in riferimento alle operazioni ivi indicate, ma anche sotto il profilo materiale, perché apparentemente emesse da ditta in realtà inesistente». Questo perché, argomenta la Cassazione, «la distinzione tra falsità ideologica e falsità materiale introduce in materia tributaria una distinzione destinata a operare nel campo dei reati contro la fede pubblica, che non ha rilevanza ai fini della repressione delle violazioni fiscali, per le quali rileva invece il mezzo adoperato per commettere la frode ed il suo carattere più o meno subdolo, che incide sulla possibilità di un rapido e agevole accertamento». In sostanza, ciò che conta per la dichiarazione fraudolenta è la «apparente affidabilità della documentazione contabile corrispondente allo schema normativo, cui la legge collega determinate conseguenze in materia fiscale»: quanto più la fattura è idonea a ingannare il fisco, tanto più alta sarà la pericolosità sociale della condotta, e quindi la necessità di una risposta sanzionatoria adeguata. E inoltre, mentre l’articolo 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) presuppone l’esistenza di «scritture contabili», confinando cioè la contestazione a chi è obbligato per legge a tenerle, l’articolo 4 (dichiarazione infedele) si occupa di comportamenti di «evidente minore offensività per l’amministrazione tributaria», e quindi prevede una soglia di non punibilità, inammissibile per un’insidia nascosta quale è l’esibizione di fatture mediche false.
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