Sole 24Ore
Ed. del 30.06.2011 - pag. 29
Alessandro Galimberti
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L'Avvocato Generale ribadisce i diritti dei discografici sulla diffusione in sala d'aspetto
Irrilevartti l'assenza di lucro eIa volontà dei pazienti
MILANO - Il dentista che installa un apparecchio radio nel suo studio e che trasmette musica a beneficio dei pazienti in attesa è tenuto a versare «l’equa remunerazione» alle società di fonografici. Le conclusioni dell’avvocato generale della Corte Ue, Verica Trstenjak, rese note ieri, segnano un ulteriore round a favore della Snc (Società consortile fonografici) sul tema dei diritti dei produttori delle tracce musicali.
La lunga motivazione del provvedimento, che comunque non è vincolante per la decisione della causa C-13S/1O, ribadisce alcuni punti già focalizzati dalla giurisprudenza di merito italiana, che in ogni caso aveva rimesso, attraverso la Corte d’Appello di Torino, la questione alla più ampia giurisdizione comunitaria. In particolare, l’avvocato generale ritiene che «rendere udibile» una trasmissione radiofonica significa «comunicarla indirettamente» (come previsto dalla direttiva 2006/11S); che pur mancando in quella direttiva la nozione di «pubblicità della comunicazione» - presupposto del diritto del produttore - non si può escludere da quell’ambito il pubblico presente nel luogo dove c’è l’apparecchio radio; che nel contesto della comunicazione al pubblico «è irrilevante se l’utilizzatore persegua con essa uno scopo di lucro»; così come è irrilevante nel caso specifico la volontà dei pazienti in attesa di ascoltare la musica, o di ritenerla al contrario «un fastidioso bombardamento di suoni».
Quindi, in sintesi, il dentista che diffonde musica nel suo studio, anche se privato, è tenuto a remunerare i diritti dei produttori della traccia. La questione giuridica avviata ieri alla conclusione riguardava un processo radicato alcuni anni fa a Torino. Il medico, che aveva vinto il processo in primo grado, lamentava che i discografici non possono vantare alcun diritto sulla musica radiodiffusa in un ambiente, tra l’altro privato (discorso diverso sarebbe per gli ambulatori pubblici), anche perché il compenso grava già sull’emittente radiofonica e, inoltre, manca lo scopo di lucro da parte di chi - lui stesso - allieta l’attesa dei pazienti diffondendo note. Ma già in appello gli stessi giudici che avevano rinviato la decisione alla Corte Ue, sospettavano il contrario, ritenendo tutt’altro che scontato che il pagamento alla fonte da parte della radio o tv emittente assolva anche l’obbligo di chi reindirizza la trasmissione verso un nuovo pubblico; il rilancio del segnale infatti «produce un’utilità aggiuntiva che come tale deve essere compensata a parte».
E anche il tribunale di Milano lo scorso anno aveva dettato la linea di merito con una sentenza della sezione specializzata per la proprietà industriale (10901/10). Le spettanze dell’autore e del produttore sarebbero già chiare nelle leggi italiane dalla giurisprudenza europea. In particolare, la sentenza C-306/oS della Corte di giustizia stabiliva che devono essere autorizzati, e perciò ricompensati, «tutti gli atti di comunicazione con i quali l’opera viene resa accessibile al pubblico».
La lunga motivazione del provvedimento, che comunque non è vincolante per la decisione della causa C-13S/1O, ribadisce alcuni punti già focalizzati dalla giurisprudenza di merito italiana, che in ogni caso aveva rimesso, attraverso la Corte d’Appello di Torino, la questione alla più ampia giurisdizione comunitaria. In particolare, l’avvocato generale ritiene che «rendere udibile» una trasmissione radiofonica significa «comunicarla indirettamente» (come previsto dalla direttiva 2006/11S); che pur mancando in quella direttiva la nozione di «pubblicità della comunicazione» - presupposto del diritto del produttore - non si può escludere da quell’ambito il pubblico presente nel luogo dove c’è l’apparecchio radio; che nel contesto della comunicazione al pubblico «è irrilevante se l’utilizzatore persegua con essa uno scopo di lucro»; così come è irrilevante nel caso specifico la volontà dei pazienti in attesa di ascoltare la musica, o di ritenerla al contrario «un fastidioso bombardamento di suoni».
Quindi, in sintesi, il dentista che diffonde musica nel suo studio, anche se privato, è tenuto a remunerare i diritti dei produttori della traccia. La questione giuridica avviata ieri alla conclusione riguardava un processo radicato alcuni anni fa a Torino. Il medico, che aveva vinto il processo in primo grado, lamentava che i discografici non possono vantare alcun diritto sulla musica radiodiffusa in un ambiente, tra l’altro privato (discorso diverso sarebbe per gli ambulatori pubblici), anche perché il compenso grava già sull’emittente radiofonica e, inoltre, manca lo scopo di lucro da parte di chi - lui stesso - allieta l’attesa dei pazienti diffondendo note. Ma già in appello gli stessi giudici che avevano rinviato la decisione alla Corte Ue, sospettavano il contrario, ritenendo tutt’altro che scontato che il pagamento alla fonte da parte della radio o tv emittente assolva anche l’obbligo di chi reindirizza la trasmissione verso un nuovo pubblico; il rilancio del segnale infatti «produce un’utilità aggiuntiva che come tale deve essere compensata a parte».
E anche il tribunale di Milano lo scorso anno aveva dettato la linea di merito con una sentenza della sezione specializzata per la proprietà industriale (10901/10). Le spettanze dell’autore e del produttore sarebbero già chiare nelle leggi italiane dalla giurisprudenza europea. In particolare, la sentenza C-306/oS della Corte di giustizia stabiliva che devono essere autorizzati, e perciò ricompensati, «tutti gli atti di comunicazione con i quali l’opera viene resa accessibile al pubblico».
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