Giornale di Sicilia
Ed. del 22.05.2011 - pag. 62
Adelfio Elio Cardinale
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L'analisi. Avviso di garanzia o rinvio a giudizio: li ricevono 8 medici su 10. 9 su 10 vengono assolti.
Il problema. Il cittadino ha rimosso !'Idea della morte e pretende dal curante l'obbligo del risultato. Da qui la rivalsa, di pazienti o familiari, nel caso di esito infelice.
KarI von Clausewitz - generale prussiano, famoso analista storico e militare - nel suo celeberrimo libro Della Guerra (Vom Kriege) ha scritto: «Qual è l'idea fondamentale della difesa? Parare un colpo. Qual è la sua caratteristica? Attendere il colpo che si deve parare. È dunque questo il carattere distintivo di ogni azione difensiva». Molti medici, pur digiuni di strategia militare, concordano con le idee di Clausewitz e le mettono in atto nella loro professione: la medicina difensiva. Si tratta di un nuovo capitolo di «arte della guerra»?
La medicina difensiva è uno degli aspetti della sanità contemporanea. Ad essa ricorrono spesso i medici, continuamente sotto attacco, nell'ambito della cosiddetta malasanità. Il termine malasanità è spesso ingiusto, ma divenuto comune ed esemplificativo per la sintetica consuetudine giornalistica. Un errore medico non sempre è dovuto a malasanità. La medicina non è scienza perfetta, per le peculiari caratteristiche dei fenomeni biologici. In medicina niente è assoluto. Il sapere tecnico non dà risposte certe in tutti i casi. Un medico che sbaglia in un singolo caso fa clamore, rispetto a tutti quelli che operano positivamente in silenzio, con scienza e coscienza. Una foresta che cresce - ricorda un antico proverbio -non fa rumore, al contrario di un singolo albero che cade.
Abbiamo già trattato, in precedenti editoriali, questo tema. Ma una recente sentenza della Cassazione, la costituzione della «Slow medicine» e un convegno organizzato a Cefalù dal Centro siciliano di studi sulla giustizia - con la presenza di magistrati, docenti, avvocati e medici – inducono a qualche ulteriore riflessione. Gli sbalorditivi progressi delle scienze biomediche e chirurgiche hanno prodotto un paradosso. Il cittadino ha rimosso l'idea della morte e pretende dal curante l'obbligazione di risultato: in ogni caso e sempre. Ne nasce la rivalsa - da parte dei malati o familiari - in presenza di un risultato infelice. Si è rotta la grande alleanza plurimillenaria tra medico e malato.
Per di più la nuova organizzazione sanitaria - quasi una catena di montaggio - non è capace di
rispondere ai complessi bisogni del paziente. Il medico, coinvolto in questo ingranaggio, si sente
isolato e demotivato, declassato a semplice esecutore di una politica lottizzata e di una amministrazione istante, impositiva e rigida. Il malato percepisce tutto questo e, di conseguenza, il medico viene identificato come «bersaglia economico» sul quale lucrare e pretendere, in ogni caso, a torto o ragione, una rivalsa economica per «malasanità». Desta sbigottimento che, nelle promozioni televisive, su Sky si faccia réclame al sito www.obiettivo.risarcimento.it. Un invito alla guerra contro i medici. Nessun commento. Si resta solo basiti.
La professione medica è sempre più subordinata alla paura di una denuncia. Sentimento e fenomeno preoccupanti, in quanto la percezione del rischio di subire un iter giudiziario è molto forte, specie tra i giovani o tra chi esercita alcune specialità, anche in rapporto ad alcune sentenze dissonanti della Corte di Cassazione.
I dati sono significativi e destano inquietudine. Il 78 per cento dei medici teme di essere denunciato. Le specialità a rischio sono: chirurgia, ortopedia e traumatologia, medicina d'urgenza, ostetricia-ginecologia, nefro-urologia, neurochirurgia. Le regioni ave i medici rischiano di più - soprattutto per carenze' di struttura, dotazioni, organizzazione e gestione - sono il Sud e le Isole. Si valuta, infatti, che 8 medici su 10 durante un
ventennio di attività professionale subiscono un avviso di garanzia o un rinvio a giudizio: anche se al termine 9 su lO vengono assolti. Ma chi risarcirà giovani e medici di trincea del calvario subito? Questi spesso rimangono «mascariati», con un' onta indelebile.
Sono queste paure non infondate che portano alla medicina difensiva: la quale consiste nella pratica di misure diagnostiche, strumentali o di laboratorio, condotte -in gran parte -non per migliorare la salute del malato, ma come «scudo» e garanzia per eventuali future conseguenze medico-legali.
La medicina difensiva può essere positiva o negativa. La prima si realizza con il preliminare ricorso a prestazioni superflue; la seconda si pratica con l'eccessiva cautela, l'astensione da interventi terapeutici, specie in pazienti ritenuti ad alto rischio. In pratica ci si affida, sperando, a madre natura. Recenti indagini riportano i seguenti dati riconducibili a medicina difensiva: 21 per cento di esami di laboratorio; 22 per cento di indagini strumentali; Il per cento dei ricoveri. Queste prestazioni superflue riferibili a meccanismi di difesa comportano un aggravio di costi inutili pari a circa il 10 per cento di tutta la spesa sanitaria, vale a dire 13 miliardi di euro l'anno. Una vera e propria manovra finanziaria - che, sommersa annualmente, si aggiunge a tasse e balzelli - e che paga la comunità intera.
La crescente abitudine da parte dei camici bianchi a non prendersi rischi condizionerà questa professione. Esisteranno ancora i chirurghi - come Valdoni, Dogliotti, Stefanini - che osavano l'inosabile? Questi grandi maestri intervenivano su malati gravissimi, con nobiltà d'animo e decisione basata su scienza, dottrina e capacità. In ogni caso, qualunque fosse l'esito dell'intervento, ricevevano la grata riconoscenza di parenti e familiari, perché quei luminari avevano operato pazienti non accettati da altri colleghi.
Il medico talora coopera a delineare questo scenario di frantumazione e di contrapposizione con il malato. Una divaricazione che fa perseguire strade diverse. Il dottore - nella frenetica sanità contemporanea - è freddo e distante dai problemi dell'uomo infermo, non esplora i segreti ell'anima, per compartecipare e riparare dolore e sconforto. Si realizza una forte carenza di rapporti comunicativi e relazionali, cui si deve in gran parte l'attuale crisi della medicina scientifica moderna.
Il medico non riesce a coniugare matrice biologica
e vissuto personale della malattia: il soggetto infermo ha la sensazione di essere trattato come cartella clinica e non come persona degna di rispetto. Il paziente, in occasioni non rarissime, viene trasformato - ahime! - in strumento per la produzione di fatturato. Pertanto il malato è di frequente astioso, carico di rancore e acrimonia, insieme ai suoi congiunti, perché si reputa trattato negli ospedali come una «cosa» o un «numero», in assenza di quella medicina del colloquio, dell'ascolto e dell'empatia - cioè la medicina umana - che molto servirebbe a stemperare la conflittualità, ripristinando na corretta relazione tra medico e paziente.
La deriva tecnologica della medicina porta dalla cura umana alla cura meccanica. Si può adombrare, con sgomento, il sorgere di una classe medica antropologicamente e geneticamente modificata. Per ovviare a questi inconvenienti è nata la «Slow medicine» -ad opera di medici, docenti, psicologi -che prospetta la ripresa di una medicina sobria, rispettosa e giusta. Capace di rispondere alle aspettative dell'uomo fragile e indifeso; attenta all'ascolto; aperta alla comunicazione; disponibile ad alleviare le pressioni esercitate sui dottori.
Ma non basta il riequilibrio antropologico della medicina. I camici bianchi devono sentirsi sereni. Lo spirito delle leggi - ammoniva Montesquieu - si impernia sulla convivenza civile. vincendo l'incultura e «consiste in quella tranquillità di spirito che proviene dalla convinzione, che ciascuno ha, della propria sicurezza». Tutela che oggi i medici sentono di non avere.
La medicina difensiva è uno degli aspetti della sanità contemporanea. Ad essa ricorrono spesso i medici, continuamente sotto attacco, nell'ambito della cosiddetta malasanità. Il termine malasanità è spesso ingiusto, ma divenuto comune ed esemplificativo per la sintetica consuetudine giornalistica. Un errore medico non sempre è dovuto a malasanità. La medicina non è scienza perfetta, per le peculiari caratteristiche dei fenomeni biologici. In medicina niente è assoluto. Il sapere tecnico non dà risposte certe in tutti i casi. Un medico che sbaglia in un singolo caso fa clamore, rispetto a tutti quelli che operano positivamente in silenzio, con scienza e coscienza. Una foresta che cresce - ricorda un antico proverbio -non fa rumore, al contrario di un singolo albero che cade.
Abbiamo già trattato, in precedenti editoriali, questo tema. Ma una recente sentenza della Cassazione, la costituzione della «Slow medicine» e un convegno organizzato a Cefalù dal Centro siciliano di studi sulla giustizia - con la presenza di magistrati, docenti, avvocati e medici – inducono a qualche ulteriore riflessione. Gli sbalorditivi progressi delle scienze biomediche e chirurgiche hanno prodotto un paradosso. Il cittadino ha rimosso l'idea della morte e pretende dal curante l'obbligazione di risultato: in ogni caso e sempre. Ne nasce la rivalsa - da parte dei malati o familiari - in presenza di un risultato infelice. Si è rotta la grande alleanza plurimillenaria tra medico e malato.
Per di più la nuova organizzazione sanitaria - quasi una catena di montaggio - non è capace di
rispondere ai complessi bisogni del paziente. Il medico, coinvolto in questo ingranaggio, si sente
isolato e demotivato, declassato a semplice esecutore di una politica lottizzata e di una amministrazione istante, impositiva e rigida. Il malato percepisce tutto questo e, di conseguenza, il medico viene identificato come «bersaglia economico» sul quale lucrare e pretendere, in ogni caso, a torto o ragione, una rivalsa economica per «malasanità». Desta sbigottimento che, nelle promozioni televisive, su Sky si faccia réclame al sito www.obiettivo.risarcimento.it. Un invito alla guerra contro i medici. Nessun commento. Si resta solo basiti.
La professione medica è sempre più subordinata alla paura di una denuncia. Sentimento e fenomeno preoccupanti, in quanto la percezione del rischio di subire un iter giudiziario è molto forte, specie tra i giovani o tra chi esercita alcune specialità, anche in rapporto ad alcune sentenze dissonanti della Corte di Cassazione.
I dati sono significativi e destano inquietudine. Il 78 per cento dei medici teme di essere denunciato. Le specialità a rischio sono: chirurgia, ortopedia e traumatologia, medicina d'urgenza, ostetricia-ginecologia, nefro-urologia, neurochirurgia. Le regioni ave i medici rischiano di più - soprattutto per carenze' di struttura, dotazioni, organizzazione e gestione - sono il Sud e le Isole. Si valuta, infatti, che 8 medici su 10 durante un
ventennio di attività professionale subiscono un avviso di garanzia o un rinvio a giudizio: anche se al termine 9 su lO vengono assolti. Ma chi risarcirà giovani e medici di trincea del calvario subito? Questi spesso rimangono «mascariati», con un' onta indelebile.
Sono queste paure non infondate che portano alla medicina difensiva: la quale consiste nella pratica di misure diagnostiche, strumentali o di laboratorio, condotte -in gran parte -non per migliorare la salute del malato, ma come «scudo» e garanzia per eventuali future conseguenze medico-legali.
La medicina difensiva può essere positiva o negativa. La prima si realizza con il preliminare ricorso a prestazioni superflue; la seconda si pratica con l'eccessiva cautela, l'astensione da interventi terapeutici, specie in pazienti ritenuti ad alto rischio. In pratica ci si affida, sperando, a madre natura. Recenti indagini riportano i seguenti dati riconducibili a medicina difensiva: 21 per cento di esami di laboratorio; 22 per cento di indagini strumentali; Il per cento dei ricoveri. Queste prestazioni superflue riferibili a meccanismi di difesa comportano un aggravio di costi inutili pari a circa il 10 per cento di tutta la spesa sanitaria, vale a dire 13 miliardi di euro l'anno. Una vera e propria manovra finanziaria - che, sommersa annualmente, si aggiunge a tasse e balzelli - e che paga la comunità intera.
La crescente abitudine da parte dei camici bianchi a non prendersi rischi condizionerà questa professione. Esisteranno ancora i chirurghi - come Valdoni, Dogliotti, Stefanini - che osavano l'inosabile? Questi grandi maestri intervenivano su malati gravissimi, con nobiltà d'animo e decisione basata su scienza, dottrina e capacità. In ogni caso, qualunque fosse l'esito dell'intervento, ricevevano la grata riconoscenza di parenti e familiari, perché quei luminari avevano operato pazienti non accettati da altri colleghi.
Il medico talora coopera a delineare questo scenario di frantumazione e di contrapposizione con il malato. Una divaricazione che fa perseguire strade diverse. Il dottore - nella frenetica sanità contemporanea - è freddo e distante dai problemi dell'uomo infermo, non esplora i segreti ell'anima, per compartecipare e riparare dolore e sconforto. Si realizza una forte carenza di rapporti comunicativi e relazionali, cui si deve in gran parte l'attuale crisi della medicina scientifica moderna.
Il medico non riesce a coniugare matrice biologica
e vissuto personale della malattia: il soggetto infermo ha la sensazione di essere trattato come cartella clinica e non come persona degna di rispetto. Il paziente, in occasioni non rarissime, viene trasformato - ahime! - in strumento per la produzione di fatturato. Pertanto il malato è di frequente astioso, carico di rancore e acrimonia, insieme ai suoi congiunti, perché si reputa trattato negli ospedali come una «cosa» o un «numero», in assenza di quella medicina del colloquio, dell'ascolto e dell'empatia - cioè la medicina umana - che molto servirebbe a stemperare la conflittualità, ripristinando na corretta relazione tra medico e paziente.
La deriva tecnologica della medicina porta dalla cura umana alla cura meccanica. Si può adombrare, con sgomento, il sorgere di una classe medica antropologicamente e geneticamente modificata. Per ovviare a questi inconvenienti è nata la «Slow medicine» -ad opera di medici, docenti, psicologi -che prospetta la ripresa di una medicina sobria, rispettosa e giusta. Capace di rispondere alle aspettative dell'uomo fragile e indifeso; attenta all'ascolto; aperta alla comunicazione; disponibile ad alleviare le pressioni esercitate sui dottori.
Ma non basta il riequilibrio antropologico della medicina. I camici bianchi devono sentirsi sereni. Lo spirito delle leggi - ammoniva Montesquieu - si impernia sulla convivenza civile. vincendo l'incultura e «consiste in quella tranquillità di spirito che proviene dalla convinzione, che ciascuno ha, della propria sicurezza». Tutela che oggi i medici sentono di non avere.
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