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Cosa si rischia a tagliare gli ospedali per i bambini
Le recenti denunzie della stampa sulle vicissitudini dell'unico, ormai, ospedale pediatrico palermitano, pongono problemi che vanno guardati con attenzione e che riguardano l'intera regione. Essere costretti a ricoverare bambini con patologie infettive su brandine, in corridoi dell'ospedale Di Cristina di Palermo rappresenta un evento tutto siciliano che rivela la scarsità dei servizi sul territorio, capaci di fare filtro rispetto agli ospedali, la inadeguatezza numerica dei reparti ospedalieri di pediatria sui quali, in questi ultimi mesi, si è abbattuta la scure del piano di rientro.
L'accesso in pronto soccorso ai reparti pediatrici, ha fatto notare il Ministero della Sanità, sono in crescita in questi ultimi decenni.
Accessi che nel 90% dei casi non sono stati urgenti: tuttavia, il mancato coordinamento ospedale-territorio concorre a tenere alti questi indici, che risultano quasi il doppio di quanto rilevato in altri paesi europei. Indici che in regioni come la nostra sono ancora più alti poiché l'ospedale rappresenta ancora l'unico presidio al quale i nostri cittadini possono rivolgersi. Specie a fine settimana e in periodi di picchi stagionali.
Secondo uno studio dell'istituto Mario Negri, l'Italia è un paese diviso in due nel campo della salute e, in particolare, nel settore materno-infantile. Il Meridione, un'area che comprende 21 milioni di abitanti i cui indici di sviluppo e povertà, tassi di natalità e mortalità ne fanno nell'ambito europeo un paese che si posiziona al 26° posto nell'UE. Il Nord che compete con i migliori paesi europei. Nascere in Sicilia, come riporta lo studio, comporta un rischio di morire più alto da 3 a 5 volte che nel resto d'Italia. E però il problema non è costruire nuove strutture o istituire nuovi reparti: ma capire, alla luce di adeguate ricerche epidemiologiche, come lavorare in rete. Secondo il sistema Hub and Spoke, nel quale a pochi centri di eccellenza, collocati in posizione strategica nella regione, facciano capo reparti pediatrici periferici.
Secondo il Ministero della Salute l'emergenza neonatale e pediatrica deve essere articolata in tre livelli la cui dislocazione e dimensione debbono essere pianificate dalle regioni. A Palermo, avere lavorato sui tagli invece che sulla organizzazione del lavoro in rete ha forse realizzato risparmi sul piano finanziario, ma non ha migliorato i livelli essenziali di assistenza pediatrica.
Una particolare attenzione va posta alla mortalità perinatale e neonatale che in Sicilia rimane ancora alta. E i motivi sono da ricercare in una distribuzione dei punti nascita e delle unità neonatologiche che ha ubbidito, nel tempo, più a scelte casuali che alla programmazione. Il piano di rientro, senza la ricerca epidemiologica, non farà che aggravare una situazione nella quale sarà difficile lavorare in rete. Lo rivela la polemica che si è accesa sui tagli di unità operative neonatologiche in alcuni ospedali siciliani e sulla riduzione dei punti nascita.
Il riferimento è alla necessità che i punti nascita da conservare siano quelli nei quali il numero dei nati sia superiore a 500 l'anno. Un dato della ricerca scientifica che dimostra come la maggiore sopravvivenza materno-infantile sia legata a questi nosocomi. Un dato corretto ma per il quale bisogna fare un distinguo. Un rapporto europeo sulla salute perinatale a proposito di dimensione del punto nascita e qualità dell'assistenza sottolinea la possibilità che unità operative di piccole dimensioni possano comportare una inadeguata assistenza a donne con complicanze ostetriche e ai relativi nascituri. Ma anche la possibilità che una unità operativa eccessivamente grande possa essere associata a difficoltà per la donna di raggiungere ìl luogo del parto ad un eccesso di interventi per gravidanze non complicate, a maggiori difficoltà nei rapporti con il personale sanitario.
Il rapporto suggerisce di utilizzare quali indicatori di valutazione la percentuale di nati presso strutture con meno di 500 e con più di 2.000 parti l'anno. L'Emilia-Romagna, ad esempio, dispone di 31 punti nascita, distribuiti su un territorio omogeneo e con una buona viabilità. Fra essi solo 6 hanno meno di 500 parti l'anno: 4 collocati in area montana hanno, rispettivamente, 147, 219, 239, 477 parti l'anno.
In Sicilia, dei 390 comuni, 97 sono in area montana e 254 in area collinare, solo 39 in pianura; dei 66 ospedali siciliani, 17 sorgono in località fra i 500 e i 1000 metri di altitudine, due su isole, il resto in pianura ma spesso con problemi di viabilità che rendono difficile raggiungerli. Il taglio sulle unità operative che non raggiungono i 500 parti l'anno, sarà ragionieristicamente applicato? Sarà inevitabile che rimanga sguarnita di punti nascita (e di unità neonatologiche) quasi tutta la parte interna del territorio regionale. Con la certezza, inoltre, che i grandi ospedalidelle tre aree metropolitane (Palermo, Catania e Messina) non riusciranno a soddisfare la domanda che viene dalla periferia.
L'accesso in pronto soccorso ai reparti pediatrici, ha fatto notare il Ministero della Sanità, sono in crescita in questi ultimi decenni.
Accessi che nel 90% dei casi non sono stati urgenti: tuttavia, il mancato coordinamento ospedale-territorio concorre a tenere alti questi indici, che risultano quasi il doppio di quanto rilevato in altri paesi europei. Indici che in regioni come la nostra sono ancora più alti poiché l'ospedale rappresenta ancora l'unico presidio al quale i nostri cittadini possono rivolgersi. Specie a fine settimana e in periodi di picchi stagionali.
Secondo uno studio dell'istituto Mario Negri, l'Italia è un paese diviso in due nel campo della salute e, in particolare, nel settore materno-infantile. Il Meridione, un'area che comprende 21 milioni di abitanti i cui indici di sviluppo e povertà, tassi di natalità e mortalità ne fanno nell'ambito europeo un paese che si posiziona al 26° posto nell'UE. Il Nord che compete con i migliori paesi europei. Nascere in Sicilia, come riporta lo studio, comporta un rischio di morire più alto da 3 a 5 volte che nel resto d'Italia. E però il problema non è costruire nuove strutture o istituire nuovi reparti: ma capire, alla luce di adeguate ricerche epidemiologiche, come lavorare in rete. Secondo il sistema Hub and Spoke, nel quale a pochi centri di eccellenza, collocati in posizione strategica nella regione, facciano capo reparti pediatrici periferici.
Secondo il Ministero della Salute l'emergenza neonatale e pediatrica deve essere articolata in tre livelli la cui dislocazione e dimensione debbono essere pianificate dalle regioni. A Palermo, avere lavorato sui tagli invece che sulla organizzazione del lavoro in rete ha forse realizzato risparmi sul piano finanziario, ma non ha migliorato i livelli essenziali di assistenza pediatrica.
Una particolare attenzione va posta alla mortalità perinatale e neonatale che in Sicilia rimane ancora alta. E i motivi sono da ricercare in una distribuzione dei punti nascita e delle unità neonatologiche che ha ubbidito, nel tempo, più a scelte casuali che alla programmazione. Il piano di rientro, senza la ricerca epidemiologica, non farà che aggravare una situazione nella quale sarà difficile lavorare in rete. Lo rivela la polemica che si è accesa sui tagli di unità operative neonatologiche in alcuni ospedali siciliani e sulla riduzione dei punti nascita.
Il riferimento è alla necessità che i punti nascita da conservare siano quelli nei quali il numero dei nati sia superiore a 500 l'anno. Un dato della ricerca scientifica che dimostra come la maggiore sopravvivenza materno-infantile sia legata a questi nosocomi. Un dato corretto ma per il quale bisogna fare un distinguo. Un rapporto europeo sulla salute perinatale a proposito di dimensione del punto nascita e qualità dell'assistenza sottolinea la possibilità che unità operative di piccole dimensioni possano comportare una inadeguata assistenza a donne con complicanze ostetriche e ai relativi nascituri. Ma anche la possibilità che una unità operativa eccessivamente grande possa essere associata a difficoltà per la donna di raggiungere ìl luogo del parto ad un eccesso di interventi per gravidanze non complicate, a maggiori difficoltà nei rapporti con il personale sanitario.
Il rapporto suggerisce di utilizzare quali indicatori di valutazione la percentuale di nati presso strutture con meno di 500 e con più di 2.000 parti l'anno. L'Emilia-Romagna, ad esempio, dispone di 31 punti nascita, distribuiti su un territorio omogeneo e con una buona viabilità. Fra essi solo 6 hanno meno di 500 parti l'anno: 4 collocati in area montana hanno, rispettivamente, 147, 219, 239, 477 parti l'anno.
In Sicilia, dei 390 comuni, 97 sono in area montana e 254 in area collinare, solo 39 in pianura; dei 66 ospedali siciliani, 17 sorgono in località fra i 500 e i 1000 metri di altitudine, due su isole, il resto in pianura ma spesso con problemi di viabilità che rendono difficile raggiungerli. Il taglio sulle unità operative che non raggiungono i 500 parti l'anno, sarà ragionieristicamente applicato? Sarà inevitabile che rimanga sguarnita di punti nascita (e di unità neonatologiche) quasi tutta la parte interna del territorio regionale. Con la certezza, inoltre, che i grandi ospedalidelle tre aree metropolitane (Palermo, Catania e Messina) non riusciranno a soddisfare la domanda che viene dalla periferia.
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