La Sicilia
Ed. del 26.07.2012 - pag. 7
Dele Lapertosa
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A rilento l'applicazione dell'accordo Stato-Regioni che prevede la soppressione delle strutture che effettuano meno di 500 parti all'anno
MILANO - È trascorso più di un anno e mezzo da quando è stato approvato l’accordo tra Stato e Regioni del 2010 sul percorso nascita, ma la sua applicazione va decisamente a rilento, complici le proteste di sindaci e comunità, e i ricorsi al Tar. Sono finora 57 i punti nascita, in cui si effettuano meno di 500 parti l’anno, per cui è stata decisa o si è proceduto alla chiusura, secondo quanto si apprende da fonti delle Regioni Veneto e Sicilia. La maggior parte dei quali si trova nelle regioni meridionali, dove erano più diffusi.
Stando all’ultimo rapporto del Cedap (Certificati di assistenza al parto) del 2009, i punti nascita con meno di 500 parti l’anno in Italia sono 153, tra pubblici, privati accreditati e non. L’accordo del 2010 prevede una riorganizzazione dei punti nascita, non solo sulla base del numero dei nati, ma anche del contesto geografico in cui si trovano. Istituisce inoltre presso il ministero della Salute un Comitato per il percorso nascita il cui compito è monitorare l’attuazione dell’accordo, raccogliendo i report che le regioni devono inviare (anche se non obbligatoriamente) ogni 6 mesi.
L’ultimo termine era previsto per il 30 giugno, ma a quella data solo otto regioni hanno comunicato i loro dati. Si tratta del Molise, che è passato da 5 a 3 punti nascita, la Sardegna da 23 a 21, il Veneto da 42 a 40, la Liguria da 13 a 11, la Basilicata da 8 a 5. La Calabria ne ha chiusi 7 pubblici e 2 cliniche private, mentre la Sicilia ha programmato la chiusura di 27 punti, dando tempo fino al primo ottobre per procedere, presentare piani di riconversione, adeguamento e rimodulazione, e rimarrà complessivamente con 42 punti nascita aperti.
La Puglia ha stabilito di doverne disattivare 10. La Campania invece, con il 62% di tagli cesarei, effettuati soprattutto nelle strutture private e più piccole, non ha chiuso neanche un punto nascita, secondo quanto si è appreso. In Italia, come riferisce il Comitato per il percorso nascita, 1’8,9% delle nascite avviene in strutture con meno di 500 parti l’anno, che però rappresentano il 28,2% dei punti nascita italiani.
Quello di chiudere queste strutture è un obiettivo da raggiungere entro tre anni dall’accordo, dunque entro fine 2013, ma tornato d’attualità con la spending review e il taglio previsto di 15-18mila posti letto. Per arrivarci, tra le unità operative “ridondanti” e troppo piccole da sforbiciare sono stati considerati proprio i punti nascita con meno di 500 parti l’anno. Un’opera di razionalizzazione il cui principale obiettivo è quello di offrire maggiore sicurezza a madre e nasci turo. Secondo i dati del Cedap, nel 2009 il 66,7% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui, che rappresentano il 37,2% dei punti nascita totali. In Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto ed Emilia Romagna circa il 90% dei parti si svolge in punti nascita di grandi dimensioni, mentre l’opposto avviene nelle regioni del Sud, come Molise e Sardegna, dove oltre il 20% dei parti si svolge in strutture con meno di 500 parti annui. In generale, nelle altre regioni meridionali si osserva una prevalenza dei parti nelle strutture con meno di 800 nascite annue, in particolare in Calabria oltre il 56% dei parti ha luogo in punti nascita con meno di 800 parti annui.
Stando all’ultimo rapporto del Cedap (Certificati di assistenza al parto) del 2009, i punti nascita con meno di 500 parti l’anno in Italia sono 153, tra pubblici, privati accreditati e non. L’accordo del 2010 prevede una riorganizzazione dei punti nascita, non solo sulla base del numero dei nati, ma anche del contesto geografico in cui si trovano. Istituisce inoltre presso il ministero della Salute un Comitato per il percorso nascita il cui compito è monitorare l’attuazione dell’accordo, raccogliendo i report che le regioni devono inviare (anche se non obbligatoriamente) ogni 6 mesi.
L’ultimo termine era previsto per il 30 giugno, ma a quella data solo otto regioni hanno comunicato i loro dati. Si tratta del Molise, che è passato da 5 a 3 punti nascita, la Sardegna da 23 a 21, il Veneto da 42 a 40, la Liguria da 13 a 11, la Basilicata da 8 a 5. La Calabria ne ha chiusi 7 pubblici e 2 cliniche private, mentre la Sicilia ha programmato la chiusura di 27 punti, dando tempo fino al primo ottobre per procedere, presentare piani di riconversione, adeguamento e rimodulazione, e rimarrà complessivamente con 42 punti nascita aperti.
La Puglia ha stabilito di doverne disattivare 10. La Campania invece, con il 62% di tagli cesarei, effettuati soprattutto nelle strutture private e più piccole, non ha chiuso neanche un punto nascita, secondo quanto si è appreso. In Italia, come riferisce il Comitato per il percorso nascita, 1’8,9% delle nascite avviene in strutture con meno di 500 parti l’anno, che però rappresentano il 28,2% dei punti nascita italiani.
Quello di chiudere queste strutture è un obiettivo da raggiungere entro tre anni dall’accordo, dunque entro fine 2013, ma tornato d’attualità con la spending review e il taglio previsto di 15-18mila posti letto. Per arrivarci, tra le unità operative “ridondanti” e troppo piccole da sforbiciare sono stati considerati proprio i punti nascita con meno di 500 parti l’anno. Un’opera di razionalizzazione il cui principale obiettivo è quello di offrire maggiore sicurezza a madre e nasci turo. Secondo i dati del Cedap, nel 2009 il 66,7% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui, che rappresentano il 37,2% dei punti nascita totali. In Piemonte, Valle d’Aosta, Veneto ed Emilia Romagna circa il 90% dei parti si svolge in punti nascita di grandi dimensioni, mentre l’opposto avviene nelle regioni del Sud, come Molise e Sardegna, dove oltre il 20% dei parti si svolge in strutture con meno di 500 parti annui. In generale, nelle altre regioni meridionali si osserva una prevalenza dei parti nelle strutture con meno di 800 nascite annue, in particolare in Calabria oltre il 56% dei parti ha luogo in punti nascita con meno di 800 parti annui.
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