Giornale di Sicilia
Ed. del 12.02.2012 - pag. 48
Adelfio Elio Cardinale
Articolo letto 110 volte
Nuova iniziativa da marzo
In Lombardia e in Piemonte, insieme ai referti e alla dimissione, anche le spese sostenute
All’avventore che esce dal ristorante si presenta la fattura o ricevuta della consumazione: coperto. antipasto, primo e secondo, dessert, vino e bevande, caffè. E questo è assolutamente normale. Da marzo prossimo i malati di Lombardia e Piemonte, che hanno subito un trattamento medico-chirurgico, riceveranno - nei referti, nella lettera di dimissione e in ogni tipo di comunicazione - il «conto» della spesa sanitaria, con il prezzo delle cure sostenute. Ma l’ospedale lavora come una trattoria o un esercizio commerciale?
Gli obiettivi dichiarati di questa innovazione sono, come al solito, magniloquenti: etica della responsabilità, trasparenza. consapevolezza. condivisione, democrazia partecipata. Lo scopo reale è indurre il paziente a risparmiare. La sanità e molti altri settori della vita sociale, sono pervasi da un materialismo liberale ingravescente. Da tempo si sono introdotti nel nostro Paese elementi di distorsione, spostando timone e rotta dall’assistenza alla sua amministrazione, diventata fine più che mezzo.
Fu proprio nella nostra città, oltre mezzo secolo addietro, che un grande clinico professore di medicina interna a Milano, Luigi Villa, nel discorso inaugurale del 59° congresso nazionale della Società italiana di medicina interna (Palermo, 13-15 ottobre 1958) delineò il rischio di una disumanizzazione della medicina, attraverso un triplice pericolo: burocratizzazione; trasformazione della professione in impiego; decadenza in senso deontologico e morale.
È tempo di affrontare una riflessione profonda, senza conformismi e pre-giudizi. Occorre costruire insieme una sanità appropriata, nella quale il rapporto medico-paziente è il fulcro. Il nostro sistema sanitario pesa sul bilancio pubblico circa 120 miliardi di euro, poco più del 7 per cento del Pil-Prodotto interno lordo. con una spesa tra le più basse in Europa. Bisogna razionalizzare la spesa, con criteri che valorizzino la qualità.
Esiste spesso un «consumismo» sanitario, che si associa a sacche di inefficienza. Oggi si adopera - in tema di medicina, chirurgia e sanità - il termine «appropriatezza», parola che non esiste in alcun vocabolario italiano. Un anglo-neologismo che possiamo definire così: fare la cosa giusta, al momento giusto. alla persona giusta, nel modo giusto e al costo giusto. Attraverso quattro appropriatezze - di struttura e organizzazione, di dotazione e tecnologia, di farmaci, di capacità clinica - si possono ottenere cospicui risparmi e innalzamento di qualità del sistema. Concetti che devono essere culturalmente acquisiti. effettivamente praticati, continuamente valutati.
Lo spreco che opprime gli ospedali pubblici è valutato pari a circa il 21.8 per cento (dal 17,2 del Veneto al 46.4 della Calabria). Con la razionalizzazione della spesa, secondo recentissime indagini, si potrebbero risparmiare circa 15 miliardi, senza contare i 276 milioni di euro sottratti e frodati nel 20 Il e scoperti dalla Guardia di Finanza. Il complesso di maggiore appropriatezza può contribuire a far diminuire la «medicina difensiva», il cui costo per la sanità è più o meno di 13 miliardi.
I decreti di Lombardia e Piemonte riflettono un concetto della sanità fondata solo sulle leggi di mercato. L’ospedale inteso come azienda od opificio, che considera la salute una merce e il malato come cliente. Si pretende produttività, talora con poca cura della qualità e del rapporto umano.
Quasi un amaro romanzo di Charles Dickens. Per questa devianza dei concetti di salute e cura. abbiamo più volte proposto di cambiare il nome inopportuno di «aziende sanitarie». Mutando i termini in «enti" o «istituti» sanitari. Oltre i pur necessari equilibri di bilancio, la medicina deve comprendere l’impatto della malattia
sulla vita reale della persona, sulle relazioni interpersonali, sulla globalità del malato. famiglie e contesto vitale compresi. Il medico può entrare nella solitudine del paziente, con il dialogo e l’ascolto. A monte di tutto, nel rapporto tra medico e malato, si erge l’umanesimo, ossia la concezione che. nel corso della cultura occidentale. ha fatto dell’uomo la misura di tulle le cose. Nel tempo della tecnologia e della prevalenza della gestione amministrativa della sanità, torna il bisogno di punti fermi di riferimento a favore del soggetto debole e infermo. Il decreto che istituisce la «fattura» di dimissione ospedali era può divenire umiliante per il malato, con effetti deleteri sulla sensibilità già molto fragile di soggetti oncologici o cronici o anziani.
Una maniera crudele per dire: quanto costi! Per questi motivi il ministero della Salute ha chiesto al Comitato di Bioetica di valutare l’ impatto sull’uomo infermo, che cerca strutture e dottori che possano determinare benefici pregnanti di vita e consapevoli di sofferenza. L’uomo al centro della sanità. Ricordando le parole del filosofo Jacques Maritain: «L’uomo non è soltanto un mezzo, ma è ben più un fine... La dignità della persona umana non vuoi dire nulla se non significa che, per legge naturale, la persona umana ha il diritto di essere rispettata, è soggetto di diritto e possiede diritti. Vi sono cose che sono dovute all’uomo per il fatto stesso che è uomo».
Gli obiettivi dichiarati di questa innovazione sono, come al solito, magniloquenti: etica della responsabilità, trasparenza. consapevolezza. condivisione, democrazia partecipata. Lo scopo reale è indurre il paziente a risparmiare. La sanità e molti altri settori della vita sociale, sono pervasi da un materialismo liberale ingravescente. Da tempo si sono introdotti nel nostro Paese elementi di distorsione, spostando timone e rotta dall’assistenza alla sua amministrazione, diventata fine più che mezzo.
Fu proprio nella nostra città, oltre mezzo secolo addietro, che un grande clinico professore di medicina interna a Milano, Luigi Villa, nel discorso inaugurale del 59° congresso nazionale della Società italiana di medicina interna (Palermo, 13-15 ottobre 1958) delineò il rischio di una disumanizzazione della medicina, attraverso un triplice pericolo: burocratizzazione; trasformazione della professione in impiego; decadenza in senso deontologico e morale.
È tempo di affrontare una riflessione profonda, senza conformismi e pre-giudizi. Occorre costruire insieme una sanità appropriata, nella quale il rapporto medico-paziente è il fulcro. Il nostro sistema sanitario pesa sul bilancio pubblico circa 120 miliardi di euro, poco più del 7 per cento del Pil-Prodotto interno lordo. con una spesa tra le più basse in Europa. Bisogna razionalizzare la spesa, con criteri che valorizzino la qualità.
Esiste spesso un «consumismo» sanitario, che si associa a sacche di inefficienza. Oggi si adopera - in tema di medicina, chirurgia e sanità - il termine «appropriatezza», parola che non esiste in alcun vocabolario italiano. Un anglo-neologismo che possiamo definire così: fare la cosa giusta, al momento giusto. alla persona giusta, nel modo giusto e al costo giusto. Attraverso quattro appropriatezze - di struttura e organizzazione, di dotazione e tecnologia, di farmaci, di capacità clinica - si possono ottenere cospicui risparmi e innalzamento di qualità del sistema. Concetti che devono essere culturalmente acquisiti. effettivamente praticati, continuamente valutati.
Lo spreco che opprime gli ospedali pubblici è valutato pari a circa il 21.8 per cento (dal 17,2 del Veneto al 46.4 della Calabria). Con la razionalizzazione della spesa, secondo recentissime indagini, si potrebbero risparmiare circa 15 miliardi, senza contare i 276 milioni di euro sottratti e frodati nel 20 Il e scoperti dalla Guardia di Finanza. Il complesso di maggiore appropriatezza può contribuire a far diminuire la «medicina difensiva», il cui costo per la sanità è più o meno di 13 miliardi.
I decreti di Lombardia e Piemonte riflettono un concetto della sanità fondata solo sulle leggi di mercato. L’ospedale inteso come azienda od opificio, che considera la salute una merce e il malato come cliente. Si pretende produttività, talora con poca cura della qualità e del rapporto umano.
Quasi un amaro romanzo di Charles Dickens. Per questa devianza dei concetti di salute e cura. abbiamo più volte proposto di cambiare il nome inopportuno di «aziende sanitarie». Mutando i termini in «enti" o «istituti» sanitari. Oltre i pur necessari equilibri di bilancio, la medicina deve comprendere l’impatto della malattia
sulla vita reale della persona, sulle relazioni interpersonali, sulla globalità del malato. famiglie e contesto vitale compresi. Il medico può entrare nella solitudine del paziente, con il dialogo e l’ascolto. A monte di tutto, nel rapporto tra medico e malato, si erge l’umanesimo, ossia la concezione che. nel corso della cultura occidentale. ha fatto dell’uomo la misura di tulle le cose. Nel tempo della tecnologia e della prevalenza della gestione amministrativa della sanità, torna il bisogno di punti fermi di riferimento a favore del soggetto debole e infermo. Il decreto che istituisce la «fattura» di dimissione ospedali era può divenire umiliante per il malato, con effetti deleteri sulla sensibilità già molto fragile di soggetti oncologici o cronici o anziani.
Una maniera crudele per dire: quanto costi! Per questi motivi il ministero della Salute ha chiesto al Comitato di Bioetica di valutare l’ impatto sull’uomo infermo, che cerca strutture e dottori che possano determinare benefici pregnanti di vita e consapevoli di sofferenza. L’uomo al centro della sanità. Ricordando le parole del filosofo Jacques Maritain: «L’uomo non è soltanto un mezzo, ma è ben più un fine... La dignità della persona umana non vuoi dire nulla se non significa che, per legge naturale, la persona umana ha il diritto di essere rispettata, è soggetto di diritto e possiede diritti. Vi sono cose che sono dovute all’uomo per il fatto stesso che è uomo».
Nessun commento:
Posta un commento
imposta qui i tuoi commenti