Sole 24Ore
Ed. del 31.10.2011 - Norme e Tributi - pag. 6
Patrizia Maciocchi
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Al 118. Non serve l'ok della centrale
Medico responsabile del trasporto omesso
Gli standard operativi non impediscono al sanitario di agire discrezionalmente nei casi di emergenza
Un anno di reclusione al medico del 118 che non trasporta un malato in gravi condizioni da un ospedale a un’altro più attrezzato, perché non ha avuto l’ok dalla centrale.
La Corte di cassazione, con la sentenza 34402, torna a censurare i medici burocrati che si “nascondono” dietro alle linee guida delle strutture per cui lavorano, venendo meno al loro dovere di prestare le migliori cure possibili ai pazienti. Dopo la condanna per omicidio colposo del 3 marzo scorso al medico che dimetteva con «logica mercantile» perché prevista dal protocollo interno, questa volta nel mirino della Cassazione è finito un camice bianco in servizio su un’ambulanza del 118, che aveva rifiutato di trasferire un paziente ricoverato nell’ospedale in cui si trovava con il suo mezzo. A indicare la necessità di portare il malato in una struttura più adeguata era stata una dottoressa che aveva illustrato al collega le ragioni dell’urgenza. Le condizioni critiche del paziente non sono sembrate però al medico una buona ragione per ovviare al mancato rispetto del “modello” del 118, che prevede il passaggio per la centrale opèrativa e non la semplice richiesta fatta al personale di turno sull’ambulanza.
Secondo il poco “elastico” medico, l’ordine di servizio del 26 luglio 2002, che regolava il funzionamento del 118 costituiva un ostacolo insormontabile al trasferimento, in assenza del preventivo semaforo verde della centrale che avrebbe l’esclusiva nel dare il via libera agli interventi di soccorso. «Il parere preventivo, - aveva spiegato, la difesa del ricorrente - serve a impedire le iniziative personali e non coordinate del medico di turno, che potrebbero compromettere il buon funzionamento di un servizio» dedicato solo alle emergenze e alle urgenze. Per finire, la difesa aveva sottolineato anche l’assenza di dolo, affermando, che il ricorrente era convinto di non poter agire di sua iniziativa. Una buona fede a cui la Cassazione non crede. Le stesse linee guida del 118 invocate dal medico per giustificare la sua inerzia prevedono, infatti, delle eccezioni alla regola. Lo standard operativo, pur affermando che il servizio non è a disposizione degli ospedali che hanno la competenza sui trasporti dei pazienti in cura, concede al medico una certa libertà di valutazione in caso di emergenza. In questo margine di discrezionalità rientra la scelta di saltare il passaggio del contatto radio e di agire direttamente nel caso in cui il malato sia realmente grave. Un’autonomia del medico di turno sul territorio affermata da un atto d’intesa siglato dal ministero della Sanità e le regioni già nel 1996. Non passa neppure il tentativo della difesa di negare l’evidenza delle gravi condizioni del malato. Secondo i giudici di piazza Cavour il medico in servizio sull’ambulanza non aveva alcuna ragione di dubitare della serietà delle condizioni del paziente ben descritte dalla collega che lo aveva in cura. La Cassazione condanna dunque rifiutando le attenuanti e la sospensione della pena. Per i supremi giudici va punito il dolo che certamente c’era nel comportamento del camice bianco che non si era preso neppure il disturbo di verificare personalmente le condizioni del malato, né di stabilire il famoso contatto radio a suo parere risolutivo. I giudici della VI sezione ricordano che il reato di omissione di atti di ufficio scatta anche quando viene rifiutato un ricovero «indifferibile» in considerazione delle conseguenze che ci possono essere sulla salute della persona.
La Corte di cassazione, con la sentenza 34402, torna a censurare i medici burocrati che si “nascondono” dietro alle linee guida delle strutture per cui lavorano, venendo meno al loro dovere di prestare le migliori cure possibili ai pazienti. Dopo la condanna per omicidio colposo del 3 marzo scorso al medico che dimetteva con «logica mercantile» perché prevista dal protocollo interno, questa volta nel mirino della Cassazione è finito un camice bianco in servizio su un’ambulanza del 118, che aveva rifiutato di trasferire un paziente ricoverato nell’ospedale in cui si trovava con il suo mezzo. A indicare la necessità di portare il malato in una struttura più adeguata era stata una dottoressa che aveva illustrato al collega le ragioni dell’urgenza. Le condizioni critiche del paziente non sono sembrate però al medico una buona ragione per ovviare al mancato rispetto del “modello” del 118, che prevede il passaggio per la centrale opèrativa e non la semplice richiesta fatta al personale di turno sull’ambulanza.
Secondo il poco “elastico” medico, l’ordine di servizio del 26 luglio 2002, che regolava il funzionamento del 118 costituiva un ostacolo insormontabile al trasferimento, in assenza del preventivo semaforo verde della centrale che avrebbe l’esclusiva nel dare il via libera agli interventi di soccorso. «Il parere preventivo, - aveva spiegato, la difesa del ricorrente - serve a impedire le iniziative personali e non coordinate del medico di turno, che potrebbero compromettere il buon funzionamento di un servizio» dedicato solo alle emergenze e alle urgenze. Per finire, la difesa aveva sottolineato anche l’assenza di dolo, affermando, che il ricorrente era convinto di non poter agire di sua iniziativa. Una buona fede a cui la Cassazione non crede. Le stesse linee guida del 118 invocate dal medico per giustificare la sua inerzia prevedono, infatti, delle eccezioni alla regola. Lo standard operativo, pur affermando che il servizio non è a disposizione degli ospedali che hanno la competenza sui trasporti dei pazienti in cura, concede al medico una certa libertà di valutazione in caso di emergenza. In questo margine di discrezionalità rientra la scelta di saltare il passaggio del contatto radio e di agire direttamente nel caso in cui il malato sia realmente grave. Un’autonomia del medico di turno sul territorio affermata da un atto d’intesa siglato dal ministero della Sanità e le regioni già nel 1996. Non passa neppure il tentativo della difesa di negare l’evidenza delle gravi condizioni del malato. Secondo i giudici di piazza Cavour il medico in servizio sull’ambulanza non aveva alcuna ragione di dubitare della serietà delle condizioni del paziente ben descritte dalla collega che lo aveva in cura. La Cassazione condanna dunque rifiutando le attenuanti e la sospensione della pena. Per i supremi giudici va punito il dolo che certamente c’era nel comportamento del camice bianco che non si era preso neppure il disturbo di verificare personalmente le condizioni del malato, né di stabilire il famoso contatto radio a suo parere risolutivo. I giudici della VI sezione ricordano che il reato di omissione di atti di ufficio scatta anche quando viene rifiutato un ricovero «indifferibile» in considerazione delle conseguenze che ci possono essere sulla salute della persona.
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