La Repubblica
Ed. del 25.11.2011 - Il Venerdì di Repubblica - pag. 78
Federico Formica
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Quasi uno su quattro soffre di a'ansia, 15 per cento di attacchi di panico. A spaventarli non sono le diagnosi, ma le lamentele dei parenti. E' un problema diffuso non soltanto in ospedale.
Ansia, panico, rabbia e depressione. Non godono di buona salute i medici e gli infermieri italiani che lavorano al pronto soccorso. Secondo un'indagine condotta dall'Emergency Medicine and Care Academy (AcEmc. Il nome è Inglese ma l'accademia è italiana), nei reparti d'emergenza degli ospedali si lavora infatti costantemente in condizioni di stress, non tanto fisico, quanto mentale ed emotivo.
Che il triage non fosse l'ambiente più rilassante del mondo lo si immaginava. Ma le risposte al questionario di AcEmc preoccupano: quasi un medico e un infermiere su quattro soffrono frequentemente di stati d'ansia; il panico colpisce talvolta o di frequente il 15 per cento dei medici e due infermieri su dieci. Il 27 per cento dei medici soffre spesso di stati di rabbia. E ancora: poco meno dell'8 per cento di medici e infermieri usa psicofarmaci per contrastare le conseguenze dello stress.
Ma cosa agita di più il personale di un pronto soccorso? «Non certo l'aspetto clinico, né dover fare diagnosi in tempi rapidi, anzi: quello è visto come un aspetto determinante del proprio lavoro» spiega Ivo Casagranda, presidente dell'accademia e dirigente del dipartimento d'emergenza dell'ospedale di Alessandria. Per medici ed infermieri sono invece incubi l'organizzazione interna e il rapporto con pazienti e parenti.
Cioè sovraffollamento, gestione di posti letto che non bastano mai, proteste e lamentele. Non a caso gli infermieri indicano nel triage, cioè la sede in cui si assegna il codice d'urgenza, l'ambiente più stressante in assoluto.
Ai medici, invece, pesa doversi occupare delle pratiche burocratiche. «Se il medico deve preoccuparsi di gestire anche i posti letto, perde tempo che potrebbe impiegare in visite e diagnosi» continua Casagranda, «e c'è di più: secondo lo standard, tra l'ingresso in pronto soccorso e il ricovero in reparto dovrebbero passare sei ore. In Italia si arriva spesso a 24. Questo genera senso di impotenza e le proteste dei parenti». Se qualcuno si stesse ponendo la classica domanda («chi glielo fa fare?»), la risposta è in un numero: per 1'80-90 per cento di medici e infermieri la passione per il proprio lavoro è il principale fattore di compensazione.
Che il triage non fosse l'ambiente più rilassante del mondo lo si immaginava. Ma le risposte al questionario di AcEmc preoccupano: quasi un medico e un infermiere su quattro soffrono frequentemente di stati d'ansia; il panico colpisce talvolta o di frequente il 15 per cento dei medici e due infermieri su dieci. Il 27 per cento dei medici soffre spesso di stati di rabbia. E ancora: poco meno dell'8 per cento di medici e infermieri usa psicofarmaci per contrastare le conseguenze dello stress.
Ma cosa agita di più il personale di un pronto soccorso? «Non certo l'aspetto clinico, né dover fare diagnosi in tempi rapidi, anzi: quello è visto come un aspetto determinante del proprio lavoro» spiega Ivo Casagranda, presidente dell'accademia e dirigente del dipartimento d'emergenza dell'ospedale di Alessandria. Per medici ed infermieri sono invece incubi l'organizzazione interna e il rapporto con pazienti e parenti.
Cioè sovraffollamento, gestione di posti letto che non bastano mai, proteste e lamentele. Non a caso gli infermieri indicano nel triage, cioè la sede in cui si assegna il codice d'urgenza, l'ambiente più stressante in assoluto.
Ai medici, invece, pesa doversi occupare delle pratiche burocratiche. «Se il medico deve preoccuparsi di gestire anche i posti letto, perde tempo che potrebbe impiegare in visite e diagnosi» continua Casagranda, «e c'è di più: secondo lo standard, tra l'ingresso in pronto soccorso e il ricovero in reparto dovrebbero passare sei ore. In Italia si arriva spesso a 24. Questo genera senso di impotenza e le proteste dei parenti». Se qualcuno si stesse ponendo la classica domanda («chi glielo fa fare?»), la risposta è in un numero: per 1'80-90 per cento di medici e infermieri la passione per il proprio lavoro è il principale fattore di compensazione.
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