Sole 24Ore
Ed. del 07.11.2011 - pag. 6
Selene Pascasi
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Aprire due ore dopo il previsto è interruzione di pubblico servizio
È interruzione di pubblico servizio quella del medico che apra l’ambulatorio con un ritardo apprezzabile «sul piano temporale e su quello del suo regolare andamento». A puntualizzarlo è la Cassazione, sezione VI penale, con la sentenza 36253/U. Coinvolta nei fatti, una sanitaria finita in giudizio per essersi recata in ritardo presso lo studio ospedaliero dove l’attendevano i pazienti. Il Tribunale condanna la professionista per interruzione di pubblico servizio, ma la Corte d’appello la assolve «perché il fatto non sussiste». Secondo il collegio, il ritardo portato dal medico - sceso in ambulatorio alle 10 del mattino, due ore dopo la prevista apertura - non era idoneo a integrare un danno rilevante all’andamento del servizio. Prevedibile il ricorso in Cassazione del procuratore generale che si lamenta, oltre che della contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e del travisamento di prova, anche della violazione o erronea applicazione dell’articolo 340 del Codice penale. Secondo l’accusa è ben possibile che da un semplice ritardo possa derivare un disservizio rilevante. Tanto è vero – annota il Pm - che presso l’ambulatorio di ortopedia, gestito esclusivamente dall’imputata, era stata registrata una situazione di disagio e di allarme nel pubblico in attesa (come riferito dalla guardia giurata in servizio e dall’agente di polizia allertato dai pazienti).
Il reato ormai è prescritto. Ne1 merito, però, la Cassazione accoglie il ricorso del procuratore e ne spiegale ragioni. La Corte di legittimità ricorda che l’illecito contestato è un reato di evento la cui consumazione richiede un pregiudizio effettivo - non necessariamente di particolare rilievo - nella continuità o nella regolarità del servizio pubblico (o di pubblica necessità) che viene arbitrariamente interrotto. Perciò, ai fini integrativi della condotta «non ha rilievo che l’interruzione sia stata temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento dell’ufficio o del servizio, atteso che la predetta fattispecie incriminatrice tutela non solo l’effettivo funzionamento di un ufficio, ovvero di un servizio pubblico o di pubblica necessità, ma anche il suo ordinato e regolare svolgimento».
Così, tornando al caso concreto, poteva senz’altro affermarsi la responsabilità penale dell’imputata, a nulla rilevando che l’interruzione o il turbamento della regolarità del servizio prestato fossero o meno temporalmente limitati. Il reato, difatti, scatta ogni volta che l’interruzione determini «una temporanea alterazione», purché oggettivamente apprezzabile.
Aveva errato, dunque, il giudice di primo grado a ritenere il ritardo portato dalla donna come giustificabile «per prassi», in relazione ad altri impegni di reparto. Detta prassi - precisa la Cassazione - era «sicuramente discutibile, avuto riguardo alla urgenza ed improcrastinabilità del servizio», imponendo «l’astensione da comportamenti diversi da quelli dovuti e corrispondenti alla gestione del servizio» stesso. Era fondato, dunque, il ricorso del Pm.
Il reato ormai è prescritto. Ne1 merito, però, la Cassazione accoglie il ricorso del procuratore e ne spiegale ragioni. La Corte di legittimità ricorda che l’illecito contestato è un reato di evento la cui consumazione richiede un pregiudizio effettivo - non necessariamente di particolare rilievo - nella continuità o nella regolarità del servizio pubblico (o di pubblica necessità) che viene arbitrariamente interrotto. Perciò, ai fini integrativi della condotta «non ha rilievo che l’interruzione sia stata temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento dell’ufficio o del servizio, atteso che la predetta fattispecie incriminatrice tutela non solo l’effettivo funzionamento di un ufficio, ovvero di un servizio pubblico o di pubblica necessità, ma anche il suo ordinato e regolare svolgimento».
Così, tornando al caso concreto, poteva senz’altro affermarsi la responsabilità penale dell’imputata, a nulla rilevando che l’interruzione o il turbamento della regolarità del servizio prestato fossero o meno temporalmente limitati. Il reato, difatti, scatta ogni volta che l’interruzione determini «una temporanea alterazione», purché oggettivamente apprezzabile.
Aveva errato, dunque, il giudice di primo grado a ritenere il ritardo portato dalla donna come giustificabile «per prassi», in relazione ad altri impegni di reparto. Detta prassi - precisa la Cassazione - era «sicuramente discutibile, avuto riguardo alla urgenza ed improcrastinabilità del servizio», imponendo «l’astensione da comportamenti diversi da quelli dovuti e corrispondenti alla gestione del servizio» stesso. Era fondato, dunque, il ricorso del Pm.
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