Enrico Campofreda
LA DENUNCIA. Incertezza per il futuro di 1.666 lavoratori dell’associazione, la cui gestione è sotto accusa. Il Piano di riassetto del Commissario straordinario punta alla privatizzazione.
Chi per disgrazia o necessità finisce trasportato da un’ambulanza del 118 in un Pronto Soccorso di Roma Capitale potrà fra quattro mesi non trovarci più in servizio qualcuno dei 91 autisti-soccorritori che per la Croce Rossa svolgono quel lavoro salva vita. La loro sorte è appesa al filo della riorganizzazione che l’associazione pluricentenaria sta vivendo con la cura del Commissario straordinario Francesco Rocca, impegnato in un riassetto dell’organico con l’esplicita finalità della privatizzazione, non si sa se parziale o totale.
Non lo sanno neppure i sindacati che s’occupano dei contratti dei circa cinquemila dipendenti, alcuni dei quali chiacchierati per “aiutini” ricevuti in passato per l’ingresso in Cri. Cosicché la grande famiglia, che conta anche 150.000 volontari e 1.249 militari, considerati anch’essi in sovrannumero e che s’avvantaggerebbero di collocazioni di comodo e favoritismi di carriera con stipendio dal Ministero della Difesa e quietanze dalle casse della Cri, avrebbe figli e figliastri. Una parte di quest’ultimi sarebbero appunto i precari delle ambulanze con turni di dodici ore e trattamenti economici misti fra competenze regionali e della Croce Rossa che cumulano la peggiore condizione per il dipendente, comprensiva di mancanza d’incentivi e la chicca di buoni pasto di sei euro inferiori rispetto ai colleghi stabilizzati.
Diventare dipendente Cri a tempo indeterminato per gli autisti-soccorritori resta un miraggio. Avevano iniziato nel 2005 come interinali dell’Agenzia Obiettivo Lavoro, dopo due proroghe e un passaggio in altre agenzie (Lavorint e Gevi) la scadenza dell’occupazione sarebbe caduta nell’agosto 2006. Ci furono azioni sindacali a loro favore, manifestazioni, incontri, occupazioni e promesse d’assunzione definitiva, alla fine di quell’anno venne partorita la soluzione tampone di una convenzione fra l’Ares, l’azienda regionale che fornisce il servizio del 118, e la Croce Rossa che coi suoi mezzi copre un’ulteriore fetta dell’intervento come fanno altre strutture private (Misericordia, Croce Verde, ecc.).
Addirittura nel 2007 e 2008 questi operatori, ormai in forza alla Cri, vennero anche inclusi nelle Finanziarie dell’epoca. E fra il 2009 e 2010, proroga dopo proroga, il personale è rimasto a prestare un servizio che è comunque indispensabile per la collettività. Una croce molti di loro sicuramente ce l’hanno: quella del precariato cronico di cui Cri è solo l’ultima tappa dopo dieci o quindici nella Sanità, complice la deregolarizzazione dei rapporti di lavoro sancita dalle leggi e attuata dai governi degli ultimi tempi. In questi giorni i 1666 precari a rischio puntano a mobilitarsi. Ma la minaccia peggiore è la mancata unità sindacale.
Oggi ci sarà un nuovo tavolo di trattative con tutti i sindacati. All’orizzonte si prospetta una divisione fra chi boccia il piano Rocca, come hanno dichirato Usb e Cgil, contestandone la privatizzazione e i tagli, e chi gli offre fiducia sperando nei suoi buoni sentimenti e aspetta a pronunciarsi, come ha dichiarato la Cisl.
Non lo sanno neppure i sindacati che s’occupano dei contratti dei circa cinquemila dipendenti, alcuni dei quali chiacchierati per “aiutini” ricevuti in passato per l’ingresso in Cri. Cosicché la grande famiglia, che conta anche 150.000 volontari e 1.249 militari, considerati anch’essi in sovrannumero e che s’avvantaggerebbero di collocazioni di comodo e favoritismi di carriera con stipendio dal Ministero della Difesa e quietanze dalle casse della Cri, avrebbe figli e figliastri. Una parte di quest’ultimi sarebbero appunto i precari delle ambulanze con turni di dodici ore e trattamenti economici misti fra competenze regionali e della Croce Rossa che cumulano la peggiore condizione per il dipendente, comprensiva di mancanza d’incentivi e la chicca di buoni pasto di sei euro inferiori rispetto ai colleghi stabilizzati.
Diventare dipendente Cri a tempo indeterminato per gli autisti-soccorritori resta un miraggio. Avevano iniziato nel 2005 come interinali dell’Agenzia Obiettivo Lavoro, dopo due proroghe e un passaggio in altre agenzie (Lavorint e Gevi) la scadenza dell’occupazione sarebbe caduta nell’agosto 2006. Ci furono azioni sindacali a loro favore, manifestazioni, incontri, occupazioni e promesse d’assunzione definitiva, alla fine di quell’anno venne partorita la soluzione tampone di una convenzione fra l’Ares, l’azienda regionale che fornisce il servizio del 118, e la Croce Rossa che coi suoi mezzi copre un’ulteriore fetta dell’intervento come fanno altre strutture private (Misericordia, Croce Verde, ecc.).
Addirittura nel 2007 e 2008 questi operatori, ormai in forza alla Cri, vennero anche inclusi nelle Finanziarie dell’epoca. E fra il 2009 e 2010, proroga dopo proroga, il personale è rimasto a prestare un servizio che è comunque indispensabile per la collettività. Una croce molti di loro sicuramente ce l’hanno: quella del precariato cronico di cui Cri è solo l’ultima tappa dopo dieci o quindici nella Sanità, complice la deregolarizzazione dei rapporti di lavoro sancita dalle leggi e attuata dai governi degli ultimi tempi. In questi giorni i 1666 precari a rischio puntano a mobilitarsi. Ma la minaccia peggiore è la mancata unità sindacale.
Oggi ci sarà un nuovo tavolo di trattative con tutti i sindacati. All’orizzonte si prospetta una divisione fra chi boccia il piano Rocca, come hanno dichirato Usb e Cgil, contestandone la privatizzazione e i tagli, e chi gli offre fiducia sperando nei suoi buoni sentimenti e aspetta a pronunciarsi, come ha dichiarato la Cisl.
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