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Verso lo stop in due giornate: 12 e 19 luglio.
LA STRETIA CONTESTATA. Bloccati aumenti per 1,7 miliardi: per i medici pubblici significa 3-5mila euro a testa. Stop anche a scatti di anzianità e notturni. ALLARME OSPEDALI. La preoccupazione delle regioni per il rischio paralisi: 78mila unità in meno f
ROMA - Mercoledì tutti davanti al Senato e poi, se non incasseranno risultati, due giornate di sciopero il 12 e il 19 luglio. Perché «così si smantella la sanità pubblica». I sindacati dei 110mila medici pubblici fanno muro contro la manovra 2011-2012 del governo. Con l'eccezione di Cisl e Uil, peraltro non tra i più rappresentativi, che pur condividendo tutte le critiche al provvedimento, si sono dissociati dalla «dichiarazione intempestiva» dello sciopero, limitandosi per il momento a chiedere una «consultazione urgente» a Berlusconi e a Fazio per concordare le modifiche a un testo che in ogni caso, affermano, avrà effetti «molto negativi» sul funzionamento l'organizzazione degli ospedali e della sanità pubblica.
Per lunedì Federfarma conferma l'assemblea nazionale contro una «manovra insostenibile». E due giorni dopo ecco che i camici bianchi cominceranno a farsi sentire da parlamento e governo. Come ampiamente annunciato, l'universo della sanità pubblica alza le barricate contro i tagli in arrivo. Che anche per i medici saranno pesanti: ma non solo per noi, mettono in guardia, perché i contraccolpi rischiano seriamente di avere pesanti ripercussioni dappertutto, regioni virtuose o meno, sull'efficienza e la qualità del servizio sanitario pubblico. Spostando l'asse dell'assistenza verso il privato («per chi può permetterselo» accusa la Cgil) e paradossalmente, nonostante le priorità del governo, di allungare le liste d'attesa.
Una protesta in difesa del SSN è insomma la parola chiave dei sindacati dei medici che non vogliono limitarsi alle rivendicazioni salariali di categoria messe in naftalina della manovra: blocco dei contratti (e delle convenzioni dei medici di famiglia), mancati scatti di anzianità, congelamento della progressione economica legata alla valutazione professionale e della retribuzione per i notturni e i festivi. E questo proprio quando da lunedì inzierà in aula alla Camera l'esame del ddl sulla «governance sanitaria» che tra l'altro riserva ai medici la liberalizzazione della libera professione intramuraria (più possibilità di attività privata) e, se l'economia consentirà, l'aumento a 70 anni dell'età pensionabile.
L'accusa mossa dal sindacati alla manovra è così di determinare «tagli inaccettabili» alla sanità pubblica e «gravi iniquità» nei confronti dei medici, che pure si dicono pronti a dare il loro contributo al risanamento del conti pubblici. A patto però di non sottrarre «risorse indispensabili al funzionamento del Ssn e al mantenimento dei livelli essenziali nel territorio», messi a rischio anche dai tagli per 10 miliardi alle regioni, che mercoledì sera incontreranno Tremonti e Fitto. La nostra è «una risposta dovuta alla violenza dell'attacco nei confronti della preziosa risorsa del servizio pubblico e al principio dell'equità sociale» ha spiegato Costantino Troise, considerato il prossimo segretario in pectore dell'Anaao, il primo sindacato degli ospedalieri.
Il salasso è presto detto. Tra contratto e convenzioni vengono bloccati) per tre anni aumenti da 1,7 miliardi: per i medici pubblici significano 3-5 mila euro a testa, il blocco degli scatti di anzianità vale altri 460 milioni: da 11mila a 35mila euro per chi ci incappa. Senza dire di chi perde la qualifica da prrimario: altri 5mila euro. Un migliaio di euro al massmo vale poi il taglio del 5% sugli stipendi oltre 90mila euro e del 10% sopra i 150mila euro. Ma a far tremare le sorti del servizio pubblico è lo stop al turn over: fino al 2014 significherà perdere 78mila unità tra medici e non medici. Fuori dalla porta se ne andranno poi quasi 5mila precari. Per gli ospedali rischia di essere la paralisi, e questo le regioni lo sanno bene e lo temono. Che abbiano i conti a posto o meno.
Per lunedì Federfarma conferma l'assemblea nazionale contro una «manovra insostenibile». E due giorni dopo ecco che i camici bianchi cominceranno a farsi sentire da parlamento e governo. Come ampiamente annunciato, l'universo della sanità pubblica alza le barricate contro i tagli in arrivo. Che anche per i medici saranno pesanti: ma non solo per noi, mettono in guardia, perché i contraccolpi rischiano seriamente di avere pesanti ripercussioni dappertutto, regioni virtuose o meno, sull'efficienza e la qualità del servizio sanitario pubblico. Spostando l'asse dell'assistenza verso il privato («per chi può permetterselo» accusa la Cgil) e paradossalmente, nonostante le priorità del governo, di allungare le liste d'attesa.
Una protesta in difesa del SSN è insomma la parola chiave dei sindacati dei medici che non vogliono limitarsi alle rivendicazioni salariali di categoria messe in naftalina della manovra: blocco dei contratti (e delle convenzioni dei medici di famiglia), mancati scatti di anzianità, congelamento della progressione economica legata alla valutazione professionale e della retribuzione per i notturni e i festivi. E questo proprio quando da lunedì inzierà in aula alla Camera l'esame del ddl sulla «governance sanitaria» che tra l'altro riserva ai medici la liberalizzazione della libera professione intramuraria (più possibilità di attività privata) e, se l'economia consentirà, l'aumento a 70 anni dell'età pensionabile.
L'accusa mossa dal sindacati alla manovra è così di determinare «tagli inaccettabili» alla sanità pubblica e «gravi iniquità» nei confronti dei medici, che pure si dicono pronti a dare il loro contributo al risanamento del conti pubblici. A patto però di non sottrarre «risorse indispensabili al funzionamento del Ssn e al mantenimento dei livelli essenziali nel territorio», messi a rischio anche dai tagli per 10 miliardi alle regioni, che mercoledì sera incontreranno Tremonti e Fitto. La nostra è «una risposta dovuta alla violenza dell'attacco nei confronti della preziosa risorsa del servizio pubblico e al principio dell'equità sociale» ha spiegato Costantino Troise, considerato il prossimo segretario in pectore dell'Anaao, il primo sindacato degli ospedalieri.
Il salasso è presto detto. Tra contratto e convenzioni vengono bloccati) per tre anni aumenti da 1,7 miliardi: per i medici pubblici significano 3-5 mila euro a testa, il blocco degli scatti di anzianità vale altri 460 milioni: da 11mila a 35mila euro per chi ci incappa. Senza dire di chi perde la qualifica da prrimario: altri 5mila euro. Un migliaio di euro al massmo vale poi il taglio del 5% sugli stipendi oltre 90mila euro e del 10% sopra i 150mila euro. Ma a far tremare le sorti del servizio pubblico è lo stop al turn over: fino al 2014 significherà perdere 78mila unità tra medici e non medici. Fuori dalla porta se ne andranno poi quasi 5mila precari. Per gli ospedali rischia di essere la paralisi, e questo le regioni lo sanno bene e lo temono. Che abbiano i conti a posto o meno.


















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