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Sanità, un pozzo senza fondo il deficit ci costa 900 euro a testa
Documento dal ministero: "Troppi ritardi sulla riforma".
L'ULTIMO allarme viaggia su un verbale di 20 pagine. Un documento riservato che riporta l'esito della riunione dei funzionari ministeriali incaricati di vigilare sul piano di rientro della sanità. E che stigmatizza i ritardi dell'amministrazione siciliana nell'attuazione della madre di tutte le riforme. Ritardi che, scrivono gli ispettori, «potrebbero compromettere completamente la riorganizzazione territoriale e ospedaliera». Un rilievo pesante che, oltre a tenere bloccati trasferimenti per 739 milionidi euro, smorza i facili entusiasmi di piazza Ziino: la strada per l'applicazione della legge che dovrebbe tagliare i costi e migliorare i servizi è tutta in salita. Un anno dopo il sì dell'Ars a una riforma definita «rivoluzionaria», Repubblica è andata a vedere cosa succede nel pubblico e nel privato, nell'ospedale più grande dell'Isola - il Policlinico di Catania - e nella postazione più lontana del 118, sulle Madonie.
HA SPULCIATO le cifre e raccolto le denunce su disservizi e ritardi. A partire, appunto, dall'impasse raccontata dagli ispettori del ministero: riguarda l'avvio della nuova assistenza territoriale che, attraverso la creazione di ambulatori e presidi di zona, dovrebbe sopperire alla chiusura dei piccoli ospedali e all'accorpamento di reparti. Mancano ancora le linee guida, è solo una bozza l'accordo integrativo con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta: i camici bianchi che dovrebbero, appunto, garantire l'attività sul territorio. Eccole, le accuse degli ispettori. Critiche che colpiscono uno degli snodi fondamentali della riforma. Come spiega il segretario regionale della Cgil medici Renato Costa: «L'assistenza domiciliare integrata, l'ospedalizzazione domiciliare, l'assistenza socio-sanitaria; se non decollerà tutto questo - dice Costa - la legge 5 rimarrà una bella cornice. È elevato il pericolo costituito da una riforma a doppia velocità. Il taglio di aziende e ospedali è già partito ma non è decollata l'assistenza territoriale: molti potrebbero cominciare a rimpiangere il vecchio sistema che, con tutti gli sprechi; era in grado di sopravvivere a se stesso».
I BARONI DEL «118».
I rappresentanti dei ministeri della Salute e dell'Economia lamentano pure di non possedere «una completa informazione» sul taglio di circa 3 mila posti letto, deliberato l'anno scorso. E reclamano anche i provvedimenti necessari per la riorganizzazione del «118»: a fine marzo scade la proroga della Sise, la società che ha gestito il servizio di emergenza urgenza per conto della Croce rossa e che dovrebbe essere rimpiazzata da un'altra partecipata dalla Regìone. I tremila soccorritori sono in agitazione e reclamano 64 milioni di arretrati per gli straordinari. Le ambulanze, a fine mese, potrebbero fermarsi. Lo start-up della riforma, è scritto nel verbale riservato, è legato anche a una modifica dei protocolli d'intesa fra Regioni e Università. Il rischio è quello del «cumulo di indennità» di professori e ricercatori universitari che lavorano nei Policlinici. Ai docenti, in pratica, oltre a un assegno aggiuntivo di mille euro al mese per l'equiparazione con i primari ospedalieri, la Regione ha previsto di corrispondere una «indennità di specificità medica» che incide per 2-300 euro.
Una misura che, è scritto nella relazione, può provocare «maggiori e ingiustificati oneri per le aziende interessate». Per l'assessorato è una lotta contro il tempo: «Stiamo seguendo le indicazioni contenute nei rilievi e in parte i problemi segnalati sono già stati superati: contiamo di arrivare all'appuntamento del 23 marzo, in ministero, con le carte in regola», dice Lucia Borsellino, che coordina l'ufficio per il piano di rientro.
I TAGLI E LE TASSE
Eppure i bilanci sono in netto miglioramento, va detto subito. L'applicazione del piano di rientro e il pugno duro dell'assessore alla Sanità Massimo Russo hanno ridotto il deficit: dai 932 milioni di euro del 2006 ai 271 del 2009. Ma continua a pesare come un macigno il debito accumulato negli ultimi nove anni pari a quasi 4 miliardi e mezzo di euro. Facendo riferimento alla quota pro-capite, significa in pratica che ogni siciliano, appena nasce, si trova già un debito da quasi 900 euro sulle spalle. La stessa quota, in Lombardia, è uguale ad appena 41 euro per abitante. Non sono solo calcoli accademici. Perché è vero che con l'attuazione delle prime misure del piano di rientro lo Stato ha in parte coperto il disavanzo.
Ma è vero pure che i conti in rosso della sanità siciliana, per effetto delle sanzioni previste dalle leggi nazionali, anche quest'anno costringeranno i contribuenti siciliani a pagare più tasse: un'addizionale Irpef, un'aliquota Irap maggiorata. Lo scotto delle gestioni dissennate del passato. Russo promette che dal 2011 non accadrà più. Ma nessuno, oggì, è in grado di garantirlo.
I VIAGGI DELLA SPERANZA
E' vero, stanno peggio almeno altre tre regioni (Lazio, Molise e Campania hanno un disavanzo pro-capite superiore alla Sicilia) ma la sanità isolana è una malata che, seppur in convalescenza, continua a manifestare sintomi gravi. Basti pensare al numero ancora elevato dei viaggi della speranza. La Regione paga 250 milioni di euro ogni anno per le cure dei siciliani nel resto d'Italia: in 59 mila, nel 2008, si sono ricoverati negli ospedali del Nord. Al primo posto fra gli interventi più richiesti quelli di ortopedia: 1.734 i ricoveri fuori dall'Isola per le protesi all'anca al ginocchio. Più in basso, in questa graduatoria, sta la cifra dei ricoveri al Nord per cicli di chemioterapia (1.116). La cosiddetta mobilità attiva (i pazienti che vengono nell'isola a curarsi) incide per 55 milioni sulle entrate della Regione. Troppo poco: il saldo negativo di 195 milioni incornicia il triste fenomeno della migrazione sanitaria verso il Continente. Anche se il trend, sottolineano dalle parti di piazza Ziino, è favorevole.
L'ESERCITO DEI CAMICI BIANCHI
In assessorato non hanno dubbi. A pesare sui conti della sanità siciliana rimangono principalmente due fattori. L'alto tasso di "ospedalizzazìone" e la spesa farmaceutica. In sintesi: nell'Isola si va con troppa facilità in ospedale e si fa un uso eccessivo di medicinali. Il tasso dei ricoveri la dice lunga: 249 ogni mille abitanti. La media italiana è di 170. Di qui è scattata la guerra alle prestazioni "inappropriate": un'influenza, è la filosofia, si può curare anche a casa, magari con l'ausilio del medico di base. Ma alla domanda di ricoveri ritenuta eccessiva corrisponde anche una forte offerta, almeno sul piano quantitativo.
Ridotto, sulla carta, l'esorbitante numero di Asl e aziende ospedaliere (da 29 a 17) resta nell'Isola un esercito di medici dipendenti dal servizio sanitario nazionale: sono 10.759, più di un quinto dell'intero personale che comprende paramedici, tecnici e amministrativi.
Il confronto con le altre regioni, anche in questo caso, la dice lunga: solo nell'Isola ci sono meno di due infermieri per medico. Il rapporto è esattamente di l,77. In Lombardia c'è un "dottore" ogni 2,5 infermieri, in Veneto uno ogni tre. Sono cifre contestate dai sindacati dei medici, che fanno notare come il rapporto sia falsato, ad esempio, dallo scarso contingente di infermieri operanti in Sicilia e come, in ogni caso, c'è una cattiva distribuzione dei camici bianchi per territorio e specialità: a Catania, per dire, abbondano i chirurghi ma mancano gli ortopedici. Ma sono numeri che dovrebbero comunque ridursi attraverso il blocco del turn-over e con l'accorpamento di divisioni e reparti previsto dalla riforma. E gli esuberi, che dovrebbero riguardare soprattutto l'elevato numero di primari operanti in Sicilia? E' uno dei nodi della manovra, destinato a venire al pettine con la definizione delle piante organiche. Russo parla di «incarichi professionali» per i primari che perderanno la qualifica e confida nei pensionamenti. Anche perché l'età media del personale sanitario siciliano sfiora i 50 anni: solo Puglia, Calabria e Campania stanno avanti in questa graduatoria.
LO SHOPPING FARMACEUTICO
L'altro bubbone è quello della spesa farmaceutica: nel 2009 la Regione ha sostenuto l'acquisto di medicinali con un miliardo e mezzo di euro: complessivamente oltre il 18,3 per cento dell'intera spesa sanitaria. I dati dell'agenzia nazionale per i servizi sanitari dicono che da gennaio a novembre dell'anno scorso la spesa pro-capite lorda della Sicilia per il consumo di farmaci è stata di 240,15 euro: l'Isola è seconda solo alla Calabria (254,19). In Lombardia è stata di 181,18 euro. Ogni siciliano, nei primi undici mesi del 2009, ha presentato in media 10,5 ricette al proprio farmacista. Il doppio di quelle di un abitante di Bolzano, mentre un lombardo non supera quota 7. Insomma, anche in questo campo siamo lontani dalla realtà di altre regioni. Anche se un contenimento dei costi c'è, rispetto agli anni passati: dal 2006 a oggi la spesa è diminuita di 140 milioni. Ma si attende la gara per l' acquisto centralizzato dei farmaci ospedalieri per una vera riduzione delle uscite. Altri lavori in corso del cantiere sanità.
E I PRIVATI?
Un cantiere chiamato a ristrutturare anche il settore privato. Nel 2009 il budget dei laboratori d'analisi e dell'intera specialistica convenzionata è stato ridotto di 52 milioni, quelli per le case di cura di oltre 50 milioni. Ma vedremo che, per quest'ultimo settore, molto caro al governo regionale, si tratta di una riduzione meramente cartolare. Complessivamente ai due comparti sono stati assegnati 850 milioni di euro, il 9,3 per cento del fondo sanitario regionale. In ogni caso, c'è un mito da sfatare: in Sicilia il privato pesa meno che in altre regioni.
Cliniche e laboratori in Lombardia assorbono il 27 per cento del budget, nel Lazio il 28. A essere diversi sono il numero e le dimensioni delle strutture finanziate. Un esempio: in Sicilia i fondi pubblici bagnano una rete di 669 laboratori d'analisi, più di quelli esistenti nella Lombardia (529) che ha il doppio degli abitanti. Il Veneto, che ha una popolazione simile a quella isolana ha appena 238 strutture. Alla fine vai a controllare il numero di prestazioni erogate e ti accorgi che in Sicilia è nettamente inferiore a quello delle altre due regioni. E di conseguenza, è più bassa anche la spesa pubblica. Lo specchio di una politica che, specie negli anni del governo Cuffaro, ha prevalso in questo comparto: pochi soldi ma per tutti. Almeno, per tanti. Con un decreto del novembre scorso, l'assessorato alla Sanità ha fissato il termine del 31 marzo per consentire ai laboratori di aggregarsi. L'atto è stato pesantemente contestato da alcune sigle sindacali ma il Tar ha respinto la richiesta di sospensiva. Avanti, fra le proteste, con il "taglio" dei laboratori. «Questo è l'unico settore che ci consente economie di scala», ha detto alla commissione sanità dell'Ars Maurizio Guizzardi, il manager emiliano chiamato da Lombardo in Sicilia. Dando corpo, con il suo approccio scientifico, ai dubbi che accompagnano la Grande riforma: un'utopia possibile?
HA SPULCIATO le cifre e raccolto le denunce su disservizi e ritardi. A partire, appunto, dall'impasse raccontata dagli ispettori del ministero: riguarda l'avvio della nuova assistenza territoriale che, attraverso la creazione di ambulatori e presidi di zona, dovrebbe sopperire alla chiusura dei piccoli ospedali e all'accorpamento di reparti. Mancano ancora le linee guida, è solo una bozza l'accordo integrativo con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta: i camici bianchi che dovrebbero, appunto, garantire l'attività sul territorio. Eccole, le accuse degli ispettori. Critiche che colpiscono uno degli snodi fondamentali della riforma. Come spiega il segretario regionale della Cgil medici Renato Costa: «L'assistenza domiciliare integrata, l'ospedalizzazione domiciliare, l'assistenza socio-sanitaria; se non decollerà tutto questo - dice Costa - la legge 5 rimarrà una bella cornice. È elevato il pericolo costituito da una riforma a doppia velocità. Il taglio di aziende e ospedali è già partito ma non è decollata l'assistenza territoriale: molti potrebbero cominciare a rimpiangere il vecchio sistema che, con tutti gli sprechi; era in grado di sopravvivere a se stesso».
I BARONI DEL «118».
I rappresentanti dei ministeri della Salute e dell'Economia lamentano pure di non possedere «una completa informazione» sul taglio di circa 3 mila posti letto, deliberato l'anno scorso. E reclamano anche i provvedimenti necessari per la riorganizzazione del «118»: a fine marzo scade la proroga della Sise, la società che ha gestito il servizio di emergenza urgenza per conto della Croce rossa e che dovrebbe essere rimpiazzata da un'altra partecipata dalla Regìone. I tremila soccorritori sono in agitazione e reclamano 64 milioni di arretrati per gli straordinari. Le ambulanze, a fine mese, potrebbero fermarsi. Lo start-up della riforma, è scritto nel verbale riservato, è legato anche a una modifica dei protocolli d'intesa fra Regioni e Università. Il rischio è quello del «cumulo di indennità» di professori e ricercatori universitari che lavorano nei Policlinici. Ai docenti, in pratica, oltre a un assegno aggiuntivo di mille euro al mese per l'equiparazione con i primari ospedalieri, la Regione ha previsto di corrispondere una «indennità di specificità medica» che incide per 2-300 euro.
Una misura che, è scritto nella relazione, può provocare «maggiori e ingiustificati oneri per le aziende interessate». Per l'assessorato è una lotta contro il tempo: «Stiamo seguendo le indicazioni contenute nei rilievi e in parte i problemi segnalati sono già stati superati: contiamo di arrivare all'appuntamento del 23 marzo, in ministero, con le carte in regola», dice Lucia Borsellino, che coordina l'ufficio per il piano di rientro.
I TAGLI E LE TASSE
Eppure i bilanci sono in netto miglioramento, va detto subito. L'applicazione del piano di rientro e il pugno duro dell'assessore alla Sanità Massimo Russo hanno ridotto il deficit: dai 932 milioni di euro del 2006 ai 271 del 2009. Ma continua a pesare come un macigno il debito accumulato negli ultimi nove anni pari a quasi 4 miliardi e mezzo di euro. Facendo riferimento alla quota pro-capite, significa in pratica che ogni siciliano, appena nasce, si trova già un debito da quasi 900 euro sulle spalle. La stessa quota, in Lombardia, è uguale ad appena 41 euro per abitante. Non sono solo calcoli accademici. Perché è vero che con l'attuazione delle prime misure del piano di rientro lo Stato ha in parte coperto il disavanzo.
Ma è vero pure che i conti in rosso della sanità siciliana, per effetto delle sanzioni previste dalle leggi nazionali, anche quest'anno costringeranno i contribuenti siciliani a pagare più tasse: un'addizionale Irpef, un'aliquota Irap maggiorata. Lo scotto delle gestioni dissennate del passato. Russo promette che dal 2011 non accadrà più. Ma nessuno, oggì, è in grado di garantirlo.
I VIAGGI DELLA SPERANZA
E' vero, stanno peggio almeno altre tre regioni (Lazio, Molise e Campania hanno un disavanzo pro-capite superiore alla Sicilia) ma la sanità isolana è una malata che, seppur in convalescenza, continua a manifestare sintomi gravi. Basti pensare al numero ancora elevato dei viaggi della speranza. La Regione paga 250 milioni di euro ogni anno per le cure dei siciliani nel resto d'Italia: in 59 mila, nel 2008, si sono ricoverati negli ospedali del Nord. Al primo posto fra gli interventi più richiesti quelli di ortopedia: 1.734 i ricoveri fuori dall'Isola per le protesi all'anca al ginocchio. Più in basso, in questa graduatoria, sta la cifra dei ricoveri al Nord per cicli di chemioterapia (1.116). La cosiddetta mobilità attiva (i pazienti che vengono nell'isola a curarsi) incide per 55 milioni sulle entrate della Regione. Troppo poco: il saldo negativo di 195 milioni incornicia il triste fenomeno della migrazione sanitaria verso il Continente. Anche se il trend, sottolineano dalle parti di piazza Ziino, è favorevole.
L'ESERCITO DEI CAMICI BIANCHI
In assessorato non hanno dubbi. A pesare sui conti della sanità siciliana rimangono principalmente due fattori. L'alto tasso di "ospedalizzazìone" e la spesa farmaceutica. In sintesi: nell'Isola si va con troppa facilità in ospedale e si fa un uso eccessivo di medicinali. Il tasso dei ricoveri la dice lunga: 249 ogni mille abitanti. La media italiana è di 170. Di qui è scattata la guerra alle prestazioni "inappropriate": un'influenza, è la filosofia, si può curare anche a casa, magari con l'ausilio del medico di base. Ma alla domanda di ricoveri ritenuta eccessiva corrisponde anche una forte offerta, almeno sul piano quantitativo.
Ridotto, sulla carta, l'esorbitante numero di Asl e aziende ospedaliere (da 29 a 17) resta nell'Isola un esercito di medici dipendenti dal servizio sanitario nazionale: sono 10.759, più di un quinto dell'intero personale che comprende paramedici, tecnici e amministrativi.
Il confronto con le altre regioni, anche in questo caso, la dice lunga: solo nell'Isola ci sono meno di due infermieri per medico. Il rapporto è esattamente di l,77. In Lombardia c'è un "dottore" ogni 2,5 infermieri, in Veneto uno ogni tre. Sono cifre contestate dai sindacati dei medici, che fanno notare come il rapporto sia falsato, ad esempio, dallo scarso contingente di infermieri operanti in Sicilia e come, in ogni caso, c'è una cattiva distribuzione dei camici bianchi per territorio e specialità: a Catania, per dire, abbondano i chirurghi ma mancano gli ortopedici. Ma sono numeri che dovrebbero comunque ridursi attraverso il blocco del turn-over e con l'accorpamento di divisioni e reparti previsto dalla riforma. E gli esuberi, che dovrebbero riguardare soprattutto l'elevato numero di primari operanti in Sicilia? E' uno dei nodi della manovra, destinato a venire al pettine con la definizione delle piante organiche. Russo parla di «incarichi professionali» per i primari che perderanno la qualifica e confida nei pensionamenti. Anche perché l'età media del personale sanitario siciliano sfiora i 50 anni: solo Puglia, Calabria e Campania stanno avanti in questa graduatoria.
LO SHOPPING FARMACEUTICO
L'altro bubbone è quello della spesa farmaceutica: nel 2009 la Regione ha sostenuto l'acquisto di medicinali con un miliardo e mezzo di euro: complessivamente oltre il 18,3 per cento dell'intera spesa sanitaria. I dati dell'agenzia nazionale per i servizi sanitari dicono che da gennaio a novembre dell'anno scorso la spesa pro-capite lorda della Sicilia per il consumo di farmaci è stata di 240,15 euro: l'Isola è seconda solo alla Calabria (254,19). In Lombardia è stata di 181,18 euro. Ogni siciliano, nei primi undici mesi del 2009, ha presentato in media 10,5 ricette al proprio farmacista. Il doppio di quelle di un abitante di Bolzano, mentre un lombardo non supera quota 7. Insomma, anche in questo campo siamo lontani dalla realtà di altre regioni. Anche se un contenimento dei costi c'è, rispetto agli anni passati: dal 2006 a oggi la spesa è diminuita di 140 milioni. Ma si attende la gara per l' acquisto centralizzato dei farmaci ospedalieri per una vera riduzione delle uscite. Altri lavori in corso del cantiere sanità.
E I PRIVATI?
Un cantiere chiamato a ristrutturare anche il settore privato. Nel 2009 il budget dei laboratori d'analisi e dell'intera specialistica convenzionata è stato ridotto di 52 milioni, quelli per le case di cura di oltre 50 milioni. Ma vedremo che, per quest'ultimo settore, molto caro al governo regionale, si tratta di una riduzione meramente cartolare. Complessivamente ai due comparti sono stati assegnati 850 milioni di euro, il 9,3 per cento del fondo sanitario regionale. In ogni caso, c'è un mito da sfatare: in Sicilia il privato pesa meno che in altre regioni.
Cliniche e laboratori in Lombardia assorbono il 27 per cento del budget, nel Lazio il 28. A essere diversi sono il numero e le dimensioni delle strutture finanziate. Un esempio: in Sicilia i fondi pubblici bagnano una rete di 669 laboratori d'analisi, più di quelli esistenti nella Lombardia (529) che ha il doppio degli abitanti. Il Veneto, che ha una popolazione simile a quella isolana ha appena 238 strutture. Alla fine vai a controllare il numero di prestazioni erogate e ti accorgi che in Sicilia è nettamente inferiore a quello delle altre due regioni. E di conseguenza, è più bassa anche la spesa pubblica. Lo specchio di una politica che, specie negli anni del governo Cuffaro, ha prevalso in questo comparto: pochi soldi ma per tutti. Almeno, per tanti. Con un decreto del novembre scorso, l'assessorato alla Sanità ha fissato il termine del 31 marzo per consentire ai laboratori di aggregarsi. L'atto è stato pesantemente contestato da alcune sigle sindacali ma il Tar ha respinto la richiesta di sospensiva. Avanti, fra le proteste, con il "taglio" dei laboratori. «Questo è l'unico settore che ci consente economie di scala», ha detto alla commissione sanità dell'Ars Maurizio Guizzardi, il manager emiliano chiamato da Lombardo in Sicilia. Dando corpo, con il suo approccio scientifico, ai dubbi che accompagnano la Grande riforma: un'utopia possibile?
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