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Allarme dopo lo stupro in Sicilia- 9 medici su lO denunciano aggressioni
«Guardia medica, noi come in trincea». Sale la violenza, i dottori hanno paura
I sindacati: «Strutture e modalità di lavoro sono del tutto inadeguate»
ROMA. Tre aggressioni in due settimane. In Calabria, Puglia e Sicilia. L'ultima a Scicli, nel Ragusano, dove una dottoressa di 53 anni, in piena notte, è stata minacciata con un coltello e poi stuprata. Nei locali della guardia medica dove stava lavorando. La lotta con l'aggressore, sarebbe un nordafricano, non è riuscita ad evitare lo stupro. Anzi, le ha anche procurato la frattura della tibia. Dalla borsa le è sparito il portafoglio. Il suo racconto è lucido, dettagliato nei particolari. E' riuscita a tracciare l'identikit del violentatore. Si indaga su tre possibili responsabili. I carabinieri hanno già iniziato a vagliare le posizioni di alcune persone.
La dottoressa, come tutte le altre dottoresse e gli altri dottori della guardia medica (circa 14 mila e, ogni regione, ha contratti diversi). Ogni notte devono esserepronti al peggio: dallo scontro verbale, alle minacce, al tentativo di furto, all'aggressione fino, appunto, allo stupro. L'aggressione di Scicli ha fatto da scintilla, ha convinto i medici ad alzare la voce e ha suscitato indignazione e rabbia tra i camici bianchi e le autorità. Il sottosegretario alla Salute Francesca Martini ha chiesto l'intervento del ministro Maroni per monitorare il fenomeno. Il rappresentante della comunità islamica di Scicli ha incontrato il sindaco e si è messo a disposizione per individuare i responsabili.
Se, a poche ore dalla violenza in Sicilia, si cerca di capire meglio qual'è la vita dei medici della "continuità assistenziale", come si chiamano oggi quelli della guardia medica, si scopre che l'elenco delle aggressioni è molto lungo. «Negli ultimi anni è stata un'escalation» denuncia Anna Lampugnani responsabile nazionale del Sindacato medici italiani che lavora in Puglia. La regione, oggi,in testa nella classifica delle violenze.
«I nostri ambulatori sono insicuri; abbandonati, passiamo nottate intere in solitudine. Non devono certo essere chiusi per far vincere la violenza ma non possiamo rischiare la nostra incolumità». Vengono presi di mira uomini e donne ma queste, a sentire i racconti, sono sempre di più sotto attacco. «Nonostante - racconta una dottoressa che a Roma gravita nella zona di Tor Bella Monaca - la gente abbia bisogno di noi e in tanti casi le situazioni siano davvero gravi». Nicola Barletta del Molise disegna una mappa del rischio. «Ci preoccupano di più le zone con meno di 5000 abitanti e in particolar modo al Centro ed al Sud». Leggiamo l'elenco: a Guidonia, nel 2006, aggressione e minacce per due dottoresse, a Porto Cesareo in Puglia, l'anno dopo, spari contro la sede della guardia medica con il dottore barricato dentro, a Capoterra in Sardegna, settembre 2008, una rapina in piena regola. Il Sindacato medici italiani ha distribuito un questionario per capire come stanno le cose nelle grandi città e nei piccoli centri. Ebbene, almeno 9 medici su 10 hanno subito un'aggressione e intimidazioni durante il servizio. Sono diventati bersagli ottimali per mini bande di quartiere, fanno capire i medici. Tante donne, per poter lavorare, leggi sul giomale di categoria, "Prospettive mediche" sono costrette a farsi accompagnare dai familiari. Ci sono "guardie" vicino agli ospedali e, quindi più sicure, ma tante altre sono piccoli appartamenti al piano terra, scantinati malmessi. Tanto lì, in quegli studi, non si visita. Servono solo come base d'appoggio per i medici.
Loro devono sempre andare sul posto quando capiscono che il telefono non basta. «E' come se tutti si dimenticassero perché siamo lì - aggiunge un medico abruzzese che la notte affronta tornanti e strade impervie per arrivare nelle case in montagna». Quali aggressioni? L'Italia, in questo caso, sembra quasi tutta uguale. Nella brutalità, nelle violenza gratuita e nelle minacce. Chiedono vigilantes, i medici della notte e dei giorni festa, (25,80 euro lordi l'ora la cifra media) ma anche sistemi di allarme o semplici sbarre alle finestre».
«Quando siamo al lavoro speriamo che le ore passiamo rapidamente sperando che tutto vada liscio», si lascia scappare Ernesto La Vecchia di Campabasso. «Un collega calabrese dice ancora La Vecchia - a Verbicaro è stato sequestrato nell'ambulatorio da due balordi. E' successo pochi giorni fa, l'8 marzo». Il 64% parla di atti di vandalismo, poi minacce verbali, intimidazioni a mano annata e percosse. «La visita, il colloquio con il malato e la nostra concentrazione - denunciano - fanno fatica a farsi largo». Tra urla, paura e minacce.
La dottoressa, come tutte le altre dottoresse e gli altri dottori della guardia medica (circa 14 mila e, ogni regione, ha contratti diversi). Ogni notte devono esserepronti al peggio: dallo scontro verbale, alle minacce, al tentativo di furto, all'aggressione fino, appunto, allo stupro. L'aggressione di Scicli ha fatto da scintilla, ha convinto i medici ad alzare la voce e ha suscitato indignazione e rabbia tra i camici bianchi e le autorità. Il sottosegretario alla Salute Francesca Martini ha chiesto l'intervento del ministro Maroni per monitorare il fenomeno. Il rappresentante della comunità islamica di Scicli ha incontrato il sindaco e si è messo a disposizione per individuare i responsabili.
Se, a poche ore dalla violenza in Sicilia, si cerca di capire meglio qual'è la vita dei medici della "continuità assistenziale", come si chiamano oggi quelli della guardia medica, si scopre che l'elenco delle aggressioni è molto lungo. «Negli ultimi anni è stata un'escalation» denuncia Anna Lampugnani responsabile nazionale del Sindacato medici italiani che lavora in Puglia. La regione, oggi,in testa nella classifica delle violenze.
«I nostri ambulatori sono insicuri; abbandonati, passiamo nottate intere in solitudine. Non devono certo essere chiusi per far vincere la violenza ma non possiamo rischiare la nostra incolumità». Vengono presi di mira uomini e donne ma queste, a sentire i racconti, sono sempre di più sotto attacco. «Nonostante - racconta una dottoressa che a Roma gravita nella zona di Tor Bella Monaca - la gente abbia bisogno di noi e in tanti casi le situazioni siano davvero gravi». Nicola Barletta del Molise disegna una mappa del rischio. «Ci preoccupano di più le zone con meno di 5000 abitanti e in particolar modo al Centro ed al Sud». Leggiamo l'elenco: a Guidonia, nel 2006, aggressione e minacce per due dottoresse, a Porto Cesareo in Puglia, l'anno dopo, spari contro la sede della guardia medica con il dottore barricato dentro, a Capoterra in Sardegna, settembre 2008, una rapina in piena regola. Il Sindacato medici italiani ha distribuito un questionario per capire come stanno le cose nelle grandi città e nei piccoli centri. Ebbene, almeno 9 medici su 10 hanno subito un'aggressione e intimidazioni durante il servizio. Sono diventati bersagli ottimali per mini bande di quartiere, fanno capire i medici. Tante donne, per poter lavorare, leggi sul giomale di categoria, "Prospettive mediche" sono costrette a farsi accompagnare dai familiari. Ci sono "guardie" vicino agli ospedali e, quindi più sicure, ma tante altre sono piccoli appartamenti al piano terra, scantinati malmessi. Tanto lì, in quegli studi, non si visita. Servono solo come base d'appoggio per i medici.
Loro devono sempre andare sul posto quando capiscono che il telefono non basta. «E' come se tutti si dimenticassero perché siamo lì - aggiunge un medico abruzzese che la notte affronta tornanti e strade impervie per arrivare nelle case in montagna». Quali aggressioni? L'Italia, in questo caso, sembra quasi tutta uguale. Nella brutalità, nelle violenza gratuita e nelle minacce. Chiedono vigilantes, i medici della notte e dei giorni festa, (25,80 euro lordi l'ora la cifra media) ma anche sistemi di allarme o semplici sbarre alle finestre».
«Quando siamo al lavoro speriamo che le ore passiamo rapidamente sperando che tutto vada liscio», si lascia scappare Ernesto La Vecchia di Campabasso. «Un collega calabrese dice ancora La Vecchia - a Verbicaro è stato sequestrato nell'ambulatorio da due balordi. E' successo pochi giorni fa, l'8 marzo». Il 64% parla di atti di vandalismo, poi minacce verbali, intimidazioni a mano annata e percosse. «La visita, il colloquio con il malato e la nostra concentrazione - denunciano - fanno fatica a farsi largo». Tra urla, paura e minacce.
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