|
A chi serve davvero il vaccino?
Mentre l’Europa svende le dosi inutilizzate del vaccino antivirus A, l’epidemiologo Tom Jefferson rilancia ciò che ripete da tempo: «Immunizzarsi contro l’influenza non serve. Questa pandemia, poi, è una bufala». E invita a guardare cosa dicono i dati.
«La scienza non è democrazia né consenso»: parola di Sun Tzu. Ovvero Tom Jefferson, italianissimo epidemiologo nonostante il nome. Ironizzando nelle vesti del generale cinese del IV secolo a.C. sul sito Attentiallebufale.it, o più seriamente come ricercatore della Cochrane Collaboration (che valuta le prove di efficacia degli interventi in medicina), va ripetendo in pressoché totale solitudine che i vaccini contro l’influenza non servono a niente.
Messaggio che, oggi, sembra appropriato a quanto sta succedendo al vaccino per l’influenza A, svenduto in mezza Europa perché acquistato in quantità eccessive rispetto alla vera entità (e pericolosità) della malattia. Jefferson però lo ripete da anni. Con studi e statistiche in materia, di cui è uno dei maggiori esperti al mondo (anche se non vuole sentirselo dire), condisce un ragionamento sfaccettato con una conclusione lampante: «Non sono questioni segrete, sono dati pubblicati, ma bisogna guardarli tutti, non solo quelli che dimostrano la propria tesi».
Che cosa si trova? Che negli Usa, negli ultimi vent’anni, da quando sono stati introdotti i vaccini, la mortalità per influenza è sempre rimasta la stessa. Oppure che nelle persone sane sotto i 65 anni la vaccinazione non ha influito di una virgola sui giorni di ospedale, assenze dal lavoro o morte per influenza o per le sue complicazioni. Non proprio quello che ci si aspetterebbe.
Anche nel caso dell’influenza suina, la novità di quest’anno, il vaccino è stato offerto dai governi di mezzo mondo ai cittadini come l’unico salvagente. Eppure, fa notare Jefferson, in questa mossa qualcosa non torna. L’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato l’allerta globale per il virus H1N1 addiritura cambiando la definizione di «pandemia». Per essere tale, prima di maggio il virus doveva provocare un «alto numero di casi e di morti». Poi i morti sono spariti dalla definizione. E pandemia è stata, con immediata corsa al rimedio: il vaccino. E con le azioni delle industrie produttrici schizzate alle stelle.
Questo argomentare del tutto controcorrente non attira simpatie all’epidemiologo. Un paio di anni fa, a un seminario sui piani di preparazione antipandemia, racconta un articolo sulla rivista americana The Atlantic, Jefferson pranzava sempre da solo. Nessuno dei colleghi voleva sedere con lui. Conferma? «Tutto vero».
Ma, chiede Panorama all’«eretico» Jefferson, com’è che, con questi dati sulla sua inutilità, milioni di persone si ritrovano ogni anno a fare il vaccino? «Mi sono messo a studiare con dei sociologi americani per capirlo». Per capire che cosa? «Come è avvenuto che l’influenza si sia trasformata in questa sorta di mostro che miete vittime di cui si sente continuamente parlare». Un’idea se la sarà fatta... «Direi che gli attori in gioco sono quattro. I giornali, intendo laici e scientifici. L’industria farmaceutica, che se non altro è chiara nei suoi scopi: vuole vendere i suoi prodotti e guadagnarci. Poi i politici e i governi. Infine i miei amati cattivi maestri, quelli che quest’anno già dalla fine di aprile si sono svegliati con previsioni sempre più allarmanti sul numero di malati e morti, fino al gran finale: se vi vaccinate contro l’influenza stagionale e contro la suina, sarete più protetti. Ma chi l’ha detto?». A sorpresa, uno dei pochi a salvarsi in questa storia è Topo Gigio. «L’unico a dare consigli basati su una solida evidenza scientifica» afferma Jefferson. Gli studi questa volta lo dimostrano: per prevenire l’influenza (e tutto quello che le somiglia) la cosa migliore è lavarsi le mani.
Messaggio che, oggi, sembra appropriato a quanto sta succedendo al vaccino per l’influenza A, svenduto in mezza Europa perché acquistato in quantità eccessive rispetto alla vera entità (e pericolosità) della malattia. Jefferson però lo ripete da anni. Con studi e statistiche in materia, di cui è uno dei maggiori esperti al mondo (anche se non vuole sentirselo dire), condisce un ragionamento sfaccettato con una conclusione lampante: «Non sono questioni segrete, sono dati pubblicati, ma bisogna guardarli tutti, non solo quelli che dimostrano la propria tesi».
Che cosa si trova? Che negli Usa, negli ultimi vent’anni, da quando sono stati introdotti i vaccini, la mortalità per influenza è sempre rimasta la stessa. Oppure che nelle persone sane sotto i 65 anni la vaccinazione non ha influito di una virgola sui giorni di ospedale, assenze dal lavoro o morte per influenza o per le sue complicazioni. Non proprio quello che ci si aspetterebbe.
Anche nel caso dell’influenza suina, la novità di quest’anno, il vaccino è stato offerto dai governi di mezzo mondo ai cittadini come l’unico salvagente. Eppure, fa notare Jefferson, in questa mossa qualcosa non torna. L’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato l’allerta globale per il virus H1N1 addiritura cambiando la definizione di «pandemia». Per essere tale, prima di maggio il virus doveva provocare un «alto numero di casi e di morti». Poi i morti sono spariti dalla definizione. E pandemia è stata, con immediata corsa al rimedio: il vaccino. E con le azioni delle industrie produttrici schizzate alle stelle.
Questo argomentare del tutto controcorrente non attira simpatie all’epidemiologo. Un paio di anni fa, a un seminario sui piani di preparazione antipandemia, racconta un articolo sulla rivista americana The Atlantic, Jefferson pranzava sempre da solo. Nessuno dei colleghi voleva sedere con lui. Conferma? «Tutto vero».
Ma, chiede Panorama all’«eretico» Jefferson, com’è che, con questi dati sulla sua inutilità, milioni di persone si ritrovano ogni anno a fare il vaccino? «Mi sono messo a studiare con dei sociologi americani per capirlo». Per capire che cosa? «Come è avvenuto che l’influenza si sia trasformata in questa sorta di mostro che miete vittime di cui si sente continuamente parlare». Un’idea se la sarà fatta... «Direi che gli attori in gioco sono quattro. I giornali, intendo laici e scientifici. L’industria farmaceutica, che se non altro è chiara nei suoi scopi: vuole vendere i suoi prodotti e guadagnarci. Poi i politici e i governi. Infine i miei amati cattivi maestri, quelli che quest’anno già dalla fine di aprile si sono svegliati con previsioni sempre più allarmanti sul numero di malati e morti, fino al gran finale: se vi vaccinate contro l’influenza stagionale e contro la suina, sarete più protetti. Ma chi l’ha detto?». A sorpresa, uno dei pochi a salvarsi in questa storia è Topo Gigio. «L’unico a dare consigli basati su una solida evidenza scientifica» afferma Jefferson. Gli studi questa volta lo dimostrano: per prevenire l’influenza (e tutto quello che le somiglia) la cosa migliore è lavarsi le mani.
Nessun commento:
Posta un commento
imposta qui i tuoi commenti