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L'infettivologo, pneumococco vero killer in pandemia 1918
Roma, 13 nov. (Adnkronos Salute) - A uccidere oltre 50 milioni di persone in tutto il mondo, 400 mila solo in Italia, durante la pandemia di Spagnola (1918-1919) fu in realtà una "superinfezione", cioè una malattia respiratoria causata da batteri in grado di attaccare i pazienti già debilitati pesantemente dal virus influenzale. E il batterio "indiziato" numero uno è lo Streptococcus pneumoniae (pneumococco). E'’ la conclusione di uno studio curato da Keith Klugman, della divisione di Malattie infettive alla Emory University (Usa), che ne ha parlato oggi a Roma in occasione del "Bridging to the Future - Pneumococcal Conjugate Vaccine Summit".
La teoria apre scenari nuovi anche per quanto riguarda l'influenza A. Klugman e il suo team assicurano di aver identificato quale fu la vera causa della letalità della più grave pandemia che la storia dell'umanità abbia mai registrato. «Nel 1918 non erano disponibili né vaccini né trattamenti farmacologici efficaci - ha spiega l'infettivologo - mentre oggi gran parte della popolazione è coperta da vaccini contro lo pneumococco, che causa polmoniti, meningiti e altri gravi disturbi. In un’era di antibiotici e di vaccini probabilmente quella stessa pandemia farebbe molti meno morti».
La ricerca, pubblicata sulla rivista "Emerging Infectious Diseases" e riportata sul sito dei Centers of Disease Control and Prevention (Cdc) americani, sostiene quindi che a causare gli alti tassi di mortalità dell’epoca non fu tanto l'influenza in sé, quanto una complicanza che sorse in conseguenza della malattia, appunto un’aggressiva infezione dovuta allo Streptococcus pneumoniae. E quando sarà terminata la nuova pandemia influenzale si potrà dire con sicurezza se i Paesi che vaccinano i bambini contro lo pneumococco, avranno meno morti causati dall'influenza A.
All'influenza venne dato il nome di "spagnola", non perché in Spagna si registrarono i primi focolai, ma poiché a parlarne inizialmente furono soltanto i giornali iberici. Era infatti l'unico Stato a non essere coinvolto nella Prima guerra mondiale e la stampa non era soggetta alla censura. In realtà la malattia fu portata in Europa dalle truppe statunitensi che, a partire dall'aprile 1917, confluirono in Francia per la Grande Guerra. La pandemia colpì un miliardo di persone uccidendone almeno 50 milioni.
Non è mai stato tuttavia possibile quantificare con esattezza né il numero delle vittime né quello dei contagiati, ma di certo si sa che ebbe un tasso di mortalità elevatissimo, che raggiunse in alcune comunità anche il 70%, mettendo in ginocchio l'intera Europa.
Klugman ha preso in esame i dati clinici disponibili sulla pandemia del 1918 e ha notato che il tempo medio di decesso dai primi sintomi era di 10-11 giorni, un periodo più compatibile con un’infezione batterica che virale. I sintomi erano tosse, dolori lombari, febbre; poi i polmoni cominciavano a riempirsi di sangue e la morte poteva sopraggiungere in pochissimi giorni.
Da qui la conclusione secondo cui la maggior parte dei morti si ebbe in realtà per complicanze batteriche, ovvero infezioni che si sovrapposero all'influenza nell'organismo indebolito dei pazienti. Klugman ha anche tentato di fare una prima analisi della situazione attuale, relativa alla pandemia da H1N1: «a confronto con la Spagnola, abbiamo rilevato una percentuale più bassa di infezioni batteriche nei pazienti morti negli Usa fino allo scorso agosto. Ma erano causate in maggior parte da ceppi di pneumococco non compresi negli attuali vaccini. Ciò significa che, se non esistesse l'immunizzazione, la situazione sarebbe stata ben più grave».
La teoria apre scenari nuovi anche per quanto riguarda l'influenza A. Klugman e il suo team assicurano di aver identificato quale fu la vera causa della letalità della più grave pandemia che la storia dell'umanità abbia mai registrato. «Nel 1918 non erano disponibili né vaccini né trattamenti farmacologici efficaci - ha spiega l'infettivologo - mentre oggi gran parte della popolazione è coperta da vaccini contro lo pneumococco, che causa polmoniti, meningiti e altri gravi disturbi. In un’era di antibiotici e di vaccini probabilmente quella stessa pandemia farebbe molti meno morti».
La ricerca, pubblicata sulla rivista "Emerging Infectious Diseases" e riportata sul sito dei Centers of Disease Control and Prevention (Cdc) americani, sostiene quindi che a causare gli alti tassi di mortalità dell’epoca non fu tanto l'influenza in sé, quanto una complicanza che sorse in conseguenza della malattia, appunto un’aggressiva infezione dovuta allo Streptococcus pneumoniae. E quando sarà terminata la nuova pandemia influenzale si potrà dire con sicurezza se i Paesi che vaccinano i bambini contro lo pneumococco, avranno meno morti causati dall'influenza A.
All'influenza venne dato il nome di "spagnola", non perché in Spagna si registrarono i primi focolai, ma poiché a parlarne inizialmente furono soltanto i giornali iberici. Era infatti l'unico Stato a non essere coinvolto nella Prima guerra mondiale e la stampa non era soggetta alla censura. In realtà la malattia fu portata in Europa dalle truppe statunitensi che, a partire dall'aprile 1917, confluirono in Francia per la Grande Guerra. La pandemia colpì un miliardo di persone uccidendone almeno 50 milioni.
Non è mai stato tuttavia possibile quantificare con esattezza né il numero delle vittime né quello dei contagiati, ma di certo si sa che ebbe un tasso di mortalità elevatissimo, che raggiunse in alcune comunità anche il 70%, mettendo in ginocchio l'intera Europa.
Klugman ha preso in esame i dati clinici disponibili sulla pandemia del 1918 e ha notato che il tempo medio di decesso dai primi sintomi era di 10-11 giorni, un periodo più compatibile con un’infezione batterica che virale. I sintomi erano tosse, dolori lombari, febbre; poi i polmoni cominciavano a riempirsi di sangue e la morte poteva sopraggiungere in pochissimi giorni.
Da qui la conclusione secondo cui la maggior parte dei morti si ebbe in realtà per complicanze batteriche, ovvero infezioni che si sovrapposero all'influenza nell'organismo indebolito dei pazienti. Klugman ha anche tentato di fare una prima analisi della situazione attuale, relativa alla pandemia da H1N1: «a confronto con la Spagnola, abbiamo rilevato una percentuale più bassa di infezioni batteriche nei pazienti morti negli Usa fino allo scorso agosto. Ma erano causate in maggior parte da ceppi di pneumococco non compresi negli attuali vaccini. Ciò significa che, se non esistesse l'immunizzazione, la situazione sarebbe stata ben più grave».
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