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Montagnier e la nuova influenza. "Un ciclone, non si sa dove colpirà"
«No, l'allarme scatenato dall'H1N1 non è affatto eccessivo». Nel momento in cui l'intero pianeta corre ai ripari contro la nuova influenza, questo è il parere di uno che di microscopiche minacce se ne intende: il biologo francese Luc Montagnier, 77 anni, insignito nel 2008 del Nobel perla Medicina per aver isolato il virus responsabile dell'Aids, aprendo così la strada al suo trattamento anti-retrovirale. «Basta pensare alla Spagnola, che nel 1918 cominciò in modo blando per poi mietere un gran numero di vittime. Potremmo anche usare la metafora del ciclone: anche se non sappiamo con precisione dove colpirà, è comunque necessario proteggersi contro sue eventuali devastazioni».
Professore, ma l'H1N1 è davvero così pericoloso?
«No, non è ancora letale come il virus della Spagnola né come quello dell'aviaria. È tuttavia molto contagioso. Di solito provoca influenze benigne, che in alcuni casi diventano gravi, soprattutto in paesi quali gli Stati Uniti, il Canada e la Gran Bretagna».
Perché questa diversità geografica?
«Uno dei motivi potrebbe essere l'inquinamento chimico che affligge quei paesi, o anche la loro alimentazione che è povera in anti-ossidanti».
È vero che lei non si farà vaccinare contro la nuova influenza?
«Non ho motivo di farlo: sono troppo vecchio, quindi non rientro nei gruppi cosiddetti a rischio. E poi gli anziani hanno una sorta di memoria immunitaria con cui difendersi contro questo tipo di virus».
Come proteggersi dall'H1N1?
«Oltre alle ovvie misure d'igiene - lavarsi le mani, portare una mascherina e respirare con il naso - consiglio di assumere stimolanti del sistema immunitario quali, per esempio, l'estratto di papaia fermentata, che impediscono la penetrazione del virus nelle cellule. Per sostenere il sistema immunitario sono di vitale importanza anche i fattori psicologici. Quindi, cerchiamo di abolire lo stress».
Per parlare di un virus che le è più famìliare, l'Hiv, a che punto è la guerra contro l'Aids?
«Direi che è diventata una guerra di posizione o, se preferisce, una guerra fredda. È vero, in Occidente si muore di meno, ma ancora non si guarisce dalla malattia e le terapie sono così pesanti che talvolta possono, loro stesse, accorciare la vita dei pazienti».
Un giovane che viene oggi contagiato in un paese ricco, quante probabilitàha di morire un giorno di Aids?
«Pochissime, a condizione di assumere la triterapia, che rallenterà la replicazione del virus senza però farlo sparire dal suo organismo».
A che punto è la ricerca sul vaccino?
«Non mi pare che stia dando grandi risultati. Io preconizzo piuttosto la ricerca su molecole in grado di eliminare totalmente l'infezione, da una parte stimolando le risposte immunitarie del paziente, dall'altra identificando le forme di virus che resistono alle terapie».
Recentemente c'è chi ha sostenuto che l'umanità del Terzo millennio dovrà combattere contro virus sempre più feroci. Condivide queste fosche previsioni?
«Credo che non ci liberemo mai dai virus, perché l'uomo continua a creare i presupposti perla nascita di nuove epidemie. Guardi che cosa accade nel sud del pianeta, dove la demografia è quasi ovunque fuori controllo e dove sorgono megalopoli con enormi sacche di povertà. Prendiamo l'Africa: come sarà possibile migliorare l'economia globale di quel continente, e quindi la sua sanità, se è vero che entro il 2050 raggiungerà i due miliardi di abitanti? Vede, lo scopo di un virus è quello di moltiplicarsi il più velocemente possibile: finché gli offriamo le condizioni per farlo, lui continuerà ad approfittarne».
Professore, ma l'H1N1 è davvero così pericoloso?
«No, non è ancora letale come il virus della Spagnola né come quello dell'aviaria. È tuttavia molto contagioso. Di solito provoca influenze benigne, che in alcuni casi diventano gravi, soprattutto in paesi quali gli Stati Uniti, il Canada e la Gran Bretagna».
Perché questa diversità geografica?
«Uno dei motivi potrebbe essere l'inquinamento chimico che affligge quei paesi, o anche la loro alimentazione che è povera in anti-ossidanti».
È vero che lei non si farà vaccinare contro la nuova influenza?
«Non ho motivo di farlo: sono troppo vecchio, quindi non rientro nei gruppi cosiddetti a rischio. E poi gli anziani hanno una sorta di memoria immunitaria con cui difendersi contro questo tipo di virus».
Come proteggersi dall'H1N1?
«Oltre alle ovvie misure d'igiene - lavarsi le mani, portare una mascherina e respirare con il naso - consiglio di assumere stimolanti del sistema immunitario quali, per esempio, l'estratto di papaia fermentata, che impediscono la penetrazione del virus nelle cellule. Per sostenere il sistema immunitario sono di vitale importanza anche i fattori psicologici. Quindi, cerchiamo di abolire lo stress».
Per parlare di un virus che le è più famìliare, l'Hiv, a che punto è la guerra contro l'Aids?
«Direi che è diventata una guerra di posizione o, se preferisce, una guerra fredda. È vero, in Occidente si muore di meno, ma ancora non si guarisce dalla malattia e le terapie sono così pesanti che talvolta possono, loro stesse, accorciare la vita dei pazienti».
Un giovane che viene oggi contagiato in un paese ricco, quante probabilitàha di morire un giorno di Aids?
«Pochissime, a condizione di assumere la triterapia, che rallenterà la replicazione del virus senza però farlo sparire dal suo organismo».
A che punto è la ricerca sul vaccino?
«Non mi pare che stia dando grandi risultati. Io preconizzo piuttosto la ricerca su molecole in grado di eliminare totalmente l'infezione, da una parte stimolando le risposte immunitarie del paziente, dall'altra identificando le forme di virus che resistono alle terapie».
Recentemente c'è chi ha sostenuto che l'umanità del Terzo millennio dovrà combattere contro virus sempre più feroci. Condivide queste fosche previsioni?
«Credo che non ci liberemo mai dai virus, perché l'uomo continua a creare i presupposti perla nascita di nuove epidemie. Guardi che cosa accade nel sud del pianeta, dove la demografia è quasi ovunque fuori controllo e dove sorgono megalopoli con enormi sacche di povertà. Prendiamo l'Africa: come sarà possibile migliorare l'economia globale di quel continente, e quindi la sua sanità, se è vero che entro il 2050 raggiungerà i due miliardi di abitanti? Vede, lo scopo di un virus è quello di moltiplicarsi il più velocemente possibile: finché gli offriamo le condizioni per farlo, lui continuerà ad approfittarne».
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