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«La diagnosi si fa per strada, poi si corre contro i minuti»
Parla Perraro, luminare delle cure d'emergenza
GLi americani la chiamano golden hour. È l'ora d'oro, i sessanta minuti entro i quali un politraumatizzato deve arrivare in sala operatoria dal momento dell'incidente. La medicina d'urgenza è una corsa contro il tempo. Per l'ortopedico, il chirurgo, l'internista che lavorano in regime di urgenza il lavoro cambia radicalmente rispetto ai colleghi che hanno la stessa specializzazione ma hon sono costretti a essere rapidi».
È un luminare dell'emergenza medica come Franco Perraro, già primario del pronto soccorso e del 118 di Udine e presidente onorario della Società italiana perla qualità dell'assistenza sanitaria, a fissare l'elemento che più di ogni altro fa la differenza quando c'è qualcuno da soccorrere in seguito a un incidente.
«Esistono delle priorità precise delle quali bisogna obbligatoriamente tenere conto afferma il professor Perraro. Prima di ogni cosa, bisogna verificare se il ferito ha riportato traumi alla testa o al torace. E bisogna tenere conto di tutti gli aspetti di rilievo che si manifestano alla prima analisi dei soccorritori».
Già, la prima analisi. A sentire i medici, ha un'importanza fondamentale, tante volte decisiva.
«Se il ragazzo di Mazzarino manifestava già ai primi soccorritori uno stato clinico preoccupante, avrebbero dovuto portarlo direttamente a Caltanissetta, senza passare dall'ospedale del paese - dice Perraro - Naturalmente, ragiono per ipotesi, ma una cosa è certa, al di là del caso specifico: il servizio di 118 ha un valore fondamentale, è decisivo al pari di tutti gli altri interventi che riguardano un paziente politraumatizzato».
La prima diagnosi, insomma, si fa per strada, sull'asfalto, con l'ansia di dover procedere in fretta. Non è facile, soprattutto se si considera che talvolta la vita del paziente è in bilico.
«La centrale operativa del 118 - sottolinea Perraro - ha un ruolo decisivo perché deve seguire passo passo l'intervento e valutare attraverso un collegamento in rete con gli ospedali quale soluzione adottare».
Di sicuro, le piccole strutture di paese, che pure danno ai residenti la percezione della sicurezza, non sembrano la soluzione migliore.
«Se non sono in grado di gestire le emergenze non è il caso di coinvolgerle a meno che non siano in rete con gli ospedali più gradi e con questi sappiano coordinarsi costantemente», aggiunge ancora Perraro. E da qui torniamo al problema di partenza, alla golden hour.
«Se una piccola struttura riceve un paziente politraumatizzato e si rende conto di non poterlo curare, deve avviare attraverso i contatti con la rete dell'emergenza, il trasferimento al più vicino ospedale attrezzato e questo senza la minima perdita di tempo. Bisogna, cioè, fissare e seguire una procedura precisa che scongiuri il rischio di far correre pericolosamente le lancette».
Insomma, meno spazio viene lasciato all'improvvisazione o alla libera interpretazione del medico di turno e maggiori sono le possibilità di salvare la vita di chi è stato ricoverato dopo un grave incidente stradale. Teoricamente non è un procedimento troppo complicato, anzi: attenendosi alle procedure sembra che gli errori possano essere ridotti a zero. Discorso diverso è la pratica, quando ci si trova davanti a un ragazzo con una gamba spezzata e un'emorragia che si fatica a tamponare.
«Questa è la medicina d'urgenza: un'altra cosa rispetto a tutto il resto - condude Perraro - Purtroppo, in Italia, questa diversità è stata riconosciuta in ritardo. Solo di recente è stata creata la specialità in medicina di emergenza urgenza che insegna come lavorare, cosa fare, come comportarsi, quando un semplice minuto può determinare la sopravvivenza di una persona».
È un luminare dell'emergenza medica come Franco Perraro, già primario del pronto soccorso e del 118 di Udine e presidente onorario della Società italiana perla qualità dell'assistenza sanitaria, a fissare l'elemento che più di ogni altro fa la differenza quando c'è qualcuno da soccorrere in seguito a un incidente.
«Esistono delle priorità precise delle quali bisogna obbligatoriamente tenere conto afferma il professor Perraro. Prima di ogni cosa, bisogna verificare se il ferito ha riportato traumi alla testa o al torace. E bisogna tenere conto di tutti gli aspetti di rilievo che si manifestano alla prima analisi dei soccorritori».
Già, la prima analisi. A sentire i medici, ha un'importanza fondamentale, tante volte decisiva.
«Se il ragazzo di Mazzarino manifestava già ai primi soccorritori uno stato clinico preoccupante, avrebbero dovuto portarlo direttamente a Caltanissetta, senza passare dall'ospedale del paese - dice Perraro - Naturalmente, ragiono per ipotesi, ma una cosa è certa, al di là del caso specifico: il servizio di 118 ha un valore fondamentale, è decisivo al pari di tutti gli altri interventi che riguardano un paziente politraumatizzato».
La prima diagnosi, insomma, si fa per strada, sull'asfalto, con l'ansia di dover procedere in fretta. Non è facile, soprattutto se si considera che talvolta la vita del paziente è in bilico.
«La centrale operativa del 118 - sottolinea Perraro - ha un ruolo decisivo perché deve seguire passo passo l'intervento e valutare attraverso un collegamento in rete con gli ospedali quale soluzione adottare».
Di sicuro, le piccole strutture di paese, che pure danno ai residenti la percezione della sicurezza, non sembrano la soluzione migliore.
«Se non sono in grado di gestire le emergenze non è il caso di coinvolgerle a meno che non siano in rete con gli ospedali più gradi e con questi sappiano coordinarsi costantemente», aggiunge ancora Perraro. E da qui torniamo al problema di partenza, alla golden hour.
«Se una piccola struttura riceve un paziente politraumatizzato e si rende conto di non poterlo curare, deve avviare attraverso i contatti con la rete dell'emergenza, il trasferimento al più vicino ospedale attrezzato e questo senza la minima perdita di tempo. Bisogna, cioè, fissare e seguire una procedura precisa che scongiuri il rischio di far correre pericolosamente le lancette».
Insomma, meno spazio viene lasciato all'improvvisazione o alla libera interpretazione del medico di turno e maggiori sono le possibilità di salvare la vita di chi è stato ricoverato dopo un grave incidente stradale. Teoricamente non è un procedimento troppo complicato, anzi: attenendosi alle procedure sembra che gli errori possano essere ridotti a zero. Discorso diverso è la pratica, quando ci si trova davanti a un ragazzo con una gamba spezzata e un'emorragia che si fatica a tamponare.
«Questa è la medicina d'urgenza: un'altra cosa rispetto a tutto il resto - condude Perraro - Purtroppo, in Italia, questa diversità è stata riconosciuta in ritardo. Solo di recente è stata creata la specialità in medicina di emergenza urgenza che insegna come lavorare, cosa fare, come comportarsi, quando un semplice minuto può determinare la sopravvivenza di una persona».
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