CASSAZIONE/ Annullata con rinvio la condanna penale di un ginecologo negligente Va provato che l’approfondimento diagnostico avrebbe evitato il decesso
Anche di fronte a un clamoroso errore diagnostico la colpevolezza del medico è tutta da dimostrare. Lo ha chiarito la quarta sezione penale della Cassazione (sentenza n. 10824, depositata l’11 marzo scorso), annullando con rinvio la condanna a sei mesi di reclusione per omicidio colposo e al risarcimento del danno in favore della parte civile inflitta a un ginecologo prima dal tribunale di Torre Annunziata e poi dalla Corte d’appello di Napoli.Allo specialista era stato rimproverato di aver concorso a provocare la morte di una sua paziente per mancata diagnosi: nonostante la avesse visitata quattro volte dal gennaio 1998 al luglio 1999 non aveva individuato il carcinoma ovarico da cui la donna era stata colpita, formulando sempre e solo la diagnosi di utero fibromatoso. A novembre del 1999, però, la paziente era stata ricoverata al Pascale di Napoli, dove una Tac e una risonanza avevano rilevato la massa tumorale, ormai metastatica. Due interventi e la chemioterapia non erano bastati a salvarla: era morta a ottobre del 2000.Per i giudici di merito, la responsabilità del medico era evidente: non aveva sottoposto la donna ad approfondimenti diagnostici più incisivi, per giunta comunemente utilizzati (ecografia, Tac e Rmn), a fronte di sintomi persistenti che non mutavano con le cure prescritte.«L’omissione del sanitario - affermava la Corte d’appello - aveva sicuramente anticipato il decorso letale della malattia».Il ginecologo ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che nei suoi confronti erano stati formulati solo «addebiti generici» senza dimostrare che fosse possibile individuare il tumore nel luglio del 1999 e che tale evenienza avrebbe potuto consentire un effettivo prolungamento del decorso della malattia.La Cassazione gli dà ora ragione, invitando ancora una volta all’applicazione rigorosa dei criteri per il corretto accertamento del nesso di causalità tra la condotta del medico e il danno causato al paziente, stabiliti dalla sentenza Franzese n. 30328/2002). Se infatti non c’è alcun dubbio sul comportamento colposo (gli esami non disposti «sicuramente avrebbero consentito di effettuare tempestivamente la diagnosi del tumore ovarico sofferto dalla donna»), ve ne sono sul nesso causale.Perché la sentenza impugnata «non risulta avere adeguatamente approfondito e accertato, secondo princìpi contrassegnati da elevato e persuasivo grado di credibilità razionale» la ricorrenza del nesso tra la tempestiva formulazione della diagnosi e un «ipotizzabile conseguente prolungamento significativo della vita» della donna, «ovvero una minore intensità lesiva della malattia con una migliore qualità della vita». Toccherà adesso a un’altra sezione della Corte d’appello di Napoli riesaminare la vicenda approfondendo il punto di diritto “debole”.
07.05.2008
http://www.medpress.it/rass_stampa/rstampa.php?id=891
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