La Stampa
Ed. del 21.04.2012 - pag. 20
Riccardo Arena
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A Dicembre la tragedia di Valentina Lembo: ma dopo due mesi nulla era cambiato.
Palermo, dopo la morte della donna pe una dose di chernio errata
PALERMO - Due mesi dopo quel dannato errore che era costato la vita a una paziente di 34 anni, nell’unità operativa di Oncologia del Policlinico di Palermo è cambiato poco o nulla. Nessuno risponde di nulla. Ad occuparsi di delicatissime operazioni cliniche sono precari o specializzandi. L’approssimazione, la superficialità e le inefficienze che il 29 dicembre avevano ucciso Valeria Lembo, mamma di un bimbo che oggi ha 10 mesi, stroncata da una dose di un farmaco che le fu dato in una misura dieci volte superiore al consentito (90 milligrammi anziché 9), sono state riscontrate dagli ispettori anche due mesi dopo, nel febbraio scorso. Così ieri mattina il ministro della Salute, Renato Balduzzi, e l’assessore siciliano Massimo Russo, di comune accordo, hanno sospeso «temporaneamente» l’attività del reparto.
L’avverbio «temporaneamente» sembra un eufemismo, l’edulcorazione di una pillola quanto mai amara per la sanità siciliana. Russo, di professione magistrato, da quattro anni al governo regionale guidato da Raffaele Lombardo, ha dovuto prendere atto delle tante, pericolosissime carenze registrate nel reparto diretto, fino a quando non scoppiò il caso, da Sergio Palmeri. Il primario si dimise nel giro di pochi giorni, anche per evitare che scattassero «esigenze cautelari» e dunque provvedimenti giudiziari nei suoi confronti.
Ma questo non ha migliorato la situazione e i pazienti di oncologia delle cliniche universitarie palermitane sono ritenuti ad alto rischio. Valeria Lembo, giovane e bella neomamma, soffriva del morbo di Hodgkin. Si era sottoposta a un ciclo di chemioterapia in cui era stato utilizzato un farmaco, la Vinblastina, che va usato con mille cautele e non superando mai le dosi massime consigliate.
Il giorno in cui uno specializzando scrisse per errore «90» al posto di «9», il primario non c’era e tutti i protagonisti di questa vicenda hanno poi giocato un indegno scaricabarile, sostenendo di non avere sbagliato. Inevitabili l’inchiesta giudiziaria e l’ispezione sanitaria, avviata in febbraio e durata oltre un mese.
Russo, il pm-assessore, è costretto adesso a parlare di un «caso vero di malasanità» e rimette alla «sensibilità e alla coscienza» del direttore generale, Mario La Rocca, e degli altri vertici dell’azienda sanitaria, la valutazione circa l’opportunità di rimanere al loro posto o di andare via. Ma La Rocca non se ne dà per inteso e lavora al dopo, alla riorganizzazione del reparto, al trasferimento dei pazienti.
«Al momento dell’ispezione - insiste Russo - la situazione non era cambiata. Non c’era stata nemmeno la dovuta attenzione dopo la morte della giovane donna. È evidente che ci sono livelli di responsabilità ulteriori». L’assessore «chiede anche scusa ai parenti della vittima, perché non gli siamo stati vicini. Nessuno prima d’ora si era messo in contatto con lo ro. È inaccettabile». Con Russo c’è il direttore generale, Lucia Borsellino, figlia del magistrato ucciso da Cosa nostra, a elencare le inefficienze del reparto, scoperte assieme agli ispettori del Ministero.
Venti i punti contestati. Non si sa, non è formalizzato «chi sia autorizzato a prescrivere, a preparare e a somministrare i farmaci antiblastici. Le prescrizioni vengono effettuate prima di vedere i pazienti, trascrivendo quanto precedentemente riportato e non vengono controfirmate dal medico». Ma non solo. «La preparazione dei farmaci è affidata a rotazione al personale infermieristico, talvolta precario. Non viene effettuata una formazione specifica dal 2004». La farmacia ha un mero ruolo di distributore di medicinali, ed ecco perché a nessuno fece impressione l’anomala richiesta di una superdose di Vinblastina, ecco perché nessuno obiettò, si sorprese che in un solo giorno venisse chiesta la quantità utilizzata abitualmente in un mese.
L’avverbio «temporaneamente» sembra un eufemismo, l’edulcorazione di una pillola quanto mai amara per la sanità siciliana. Russo, di professione magistrato, da quattro anni al governo regionale guidato da Raffaele Lombardo, ha dovuto prendere atto delle tante, pericolosissime carenze registrate nel reparto diretto, fino a quando non scoppiò il caso, da Sergio Palmeri. Il primario si dimise nel giro di pochi giorni, anche per evitare che scattassero «esigenze cautelari» e dunque provvedimenti giudiziari nei suoi confronti.
Ma questo non ha migliorato la situazione e i pazienti di oncologia delle cliniche universitarie palermitane sono ritenuti ad alto rischio. Valeria Lembo, giovane e bella neomamma, soffriva del morbo di Hodgkin. Si era sottoposta a un ciclo di chemioterapia in cui era stato utilizzato un farmaco, la Vinblastina, che va usato con mille cautele e non superando mai le dosi massime consigliate.
Il giorno in cui uno specializzando scrisse per errore «90» al posto di «9», il primario non c’era e tutti i protagonisti di questa vicenda hanno poi giocato un indegno scaricabarile, sostenendo di non avere sbagliato. Inevitabili l’inchiesta giudiziaria e l’ispezione sanitaria, avviata in febbraio e durata oltre un mese.
Russo, il pm-assessore, è costretto adesso a parlare di un «caso vero di malasanità» e rimette alla «sensibilità e alla coscienza» del direttore generale, Mario La Rocca, e degli altri vertici dell’azienda sanitaria, la valutazione circa l’opportunità di rimanere al loro posto o di andare via. Ma La Rocca non se ne dà per inteso e lavora al dopo, alla riorganizzazione del reparto, al trasferimento dei pazienti.
«Al momento dell’ispezione - insiste Russo - la situazione non era cambiata. Non c’era stata nemmeno la dovuta attenzione dopo la morte della giovane donna. È evidente che ci sono livelli di responsabilità ulteriori». L’assessore «chiede anche scusa ai parenti della vittima, perché non gli siamo stati vicini. Nessuno prima d’ora si era messo in contatto con lo ro. È inaccettabile». Con Russo c’è il direttore generale, Lucia Borsellino, figlia del magistrato ucciso da Cosa nostra, a elencare le inefficienze del reparto, scoperte assieme agli ispettori del Ministero.
Venti i punti contestati. Non si sa, non è formalizzato «chi sia autorizzato a prescrivere, a preparare e a somministrare i farmaci antiblastici. Le prescrizioni vengono effettuate prima di vedere i pazienti, trascrivendo quanto precedentemente riportato e non vengono controfirmate dal medico». Ma non solo. «La preparazione dei farmaci è affidata a rotazione al personale infermieristico, talvolta precario. Non viene effettuata una formazione specifica dal 2004». La farmacia ha un mero ruolo di distributore di medicinali, ed ecco perché a nessuno fece impressione l’anomala richiesta di una superdose di Vinblastina, ecco perché nessuno obiettò, si sorprese che in un solo giorno venisse chiesta la quantità utilizzata abitualmente in un mese.
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