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Si guarisce per fede, lo dice la scienza
Credere in Dio, o almeno porsi attivamente alla ricerca della Fede, aiuta a sopravvivere alle malattie. Non necessariamente per grazia ricevuta ma per quel misterioso meccanismo che riflette sul corpo le luci e le ombre dello stato d'animo. O dell'anima tout court.
A dimostrarlo con «procedura matematica» (sic) è una ricerca condotta dall'Istituto di Fisiologia clinica del Cnr di Pisa, e pubblicata su una rivista scientifica americana, che arriva a conclusioni sorprendenti, quasi si trattasse della sesta prova dell'esistenza di Dio, da aggiungere alle cinque di San Tommaso. Su un campione di 179 pazienti sottoposti a trapianto di fegato, risulta che, dopo quattro anni dall'operazione, è in vita il 93,3% dei soggetti in ricerca attiva di Dio, mentre il 79,5% di atei e fatalisti è deceduto.
Va da sé che si intende il Dio di qualsiasi religione e che il meccanismo studiato non riguarda solo i trapianti di fegato ma può interessare ogni altra patologia grave. Ma viene da chierdersi se per verificare l'esistenza di un rapporto causa-effetto tra la sfera dell'anima e quella del corpo servisse proprio una «procedura matematica».Non appartiene forse alla cognizione empirica che ci si ammala o si affronta con esito positivo perfino il cancro in funzione di come si sta a livello morale, psichico, spirituale? E il cammino di fede non è quella «marcia in più» nella vita, riconosciuta e invidiata anche da molti atei?
E' bene che la scienza si ponga domande e lanci le sue sfide. Ma sulla percezione di Dio è meglio lasciare la parola ai teologi. E soprattutto alla fede.
A dimostrarlo con «procedura matematica» (sic) è una ricerca condotta dall'Istituto di Fisiologia clinica del Cnr di Pisa, e pubblicata su una rivista scientifica americana, che arriva a conclusioni sorprendenti, quasi si trattasse della sesta prova dell'esistenza di Dio, da aggiungere alle cinque di San Tommaso. Su un campione di 179 pazienti sottoposti a trapianto di fegato, risulta che, dopo quattro anni dall'operazione, è in vita il 93,3% dei soggetti in ricerca attiva di Dio, mentre il 79,5% di atei e fatalisti è deceduto.
Va da sé che si intende il Dio di qualsiasi religione e che il meccanismo studiato non riguarda solo i trapianti di fegato ma può interessare ogni altra patologia grave. Ma viene da chierdersi se per verificare l'esistenza di un rapporto causa-effetto tra la sfera dell'anima e quella del corpo servisse proprio una «procedura matematica».Non appartiene forse alla cognizione empirica che ci si ammala o si affronta con esito positivo perfino il cancro in funzione di come si sta a livello morale, psichico, spirituale? E il cammino di fede non è quella «marcia in più» nella vita, riconosciuta e invidiata anche da molti atei?
E' bene che la scienza si ponga domande e lanci le sue sfide. Ma sulla percezione di Dio è meglio lasciare la parola ai teologi. E soprattutto alla fede.
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