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LA SANITÀ DEL FUTURO. «I nosocomi, come dimostrato dai fatti, restano aperti. Mi sono battuto perché il Di Maria di Avola non venisse depotenziato».
«Sono troppi cinque ospedali nel territorio della provincia»
L’analisi razionale dell’assessore regionale Titti Bufardeci
Titti Bufardeci resta abile navigatore nei mari tempestosi della politica. Per la terza volta assessore regionale (Turismo, Cooperazione, Agricoltura), non ha mai trascurato il settore della sanità riuscendo, laddove ha potuto, a dare un contributo sostanziale nel perseguire alcuni obiettivi.
La sua analisi sull’attuale situazione della sanità in provincia, quando afferma in particolare che «5 ospedali sono troppi», può apparire di rottura, ma è oggettivamente razionale.
«Gli ospedali, come dimostrato dai fatti, restano aperti. Mi sono battuto perché Avola non venisse declassificata, ed è evidente che la zona sud ha bisogno di uno ospedale che sia sintesi delle attività ospedaliere di lungodegenza, riabilitazione e soprattutto di presidio. Tutto questo va ripartito all’interno della zona sud. Gli enti locali hanno già individuato una soluzione mediana, che può soddisfare il territorio e la zona sud».
Una soluzione, osserva Bufardeci, che aiuta le comunità a sopportare il peso di eventuali cambiamenti. «Dividere le strutture ospedaliere in Pta (presidio territoriale di assistenza) e in Pti (presidio territoriale di intervento) nell’ambito dei due ospedali è soluzione che appare razionale. La Conferenza dei sindaci è di mediazione e serve a mantenere le strutture di Avola e Noto nella logica di essere l’una integrata all’altra. E solo nella logica di integrazione si possono superare i contrasti. Se dovessimo poi andare a ragionamenti di non mediazione, dovremmo anche dire che 5 ospedali in tutta la provincia sono troppi. Dobbiamo piuttosto lavorare perché ogni struttura sanitaria continui a lavorare integrandosi con le altre. Nella logica dell’integrazione, senza concorrenza».
I due territori hanno trovato, secondo l’assessore regionale, una soluzione tutto sommato condivisa. «Oggi è cambiata la logica. Abbiamo i distretti. In questi mesi e in questi anni si è fatto tanto. Mancava l’angioplastica h24 e ora c’è. Mancava l’hospice e oggi c’è. E’ arrivato il finanziamento di 13 milioni e mezzo di euro per l’acquisto della radioterapia, di risonanze magnetiche, di tac, pet e mammografia, macchinari che saranno assegnati in tutto il territorio. Si tratta del più importante finanziamento mai avuto in provincia.
Mentre si discute e si continua a polemizzare, noi parliamo con i risultati che abbiamo ottenuto». Per il nuovo ospedale di Siracusa Titti Bufardeci assicura la massima attenzione perché venga incrementato il finanziamento pubblico. «Mi sto battendo perché questo finanziamento sia più congruo per avere un ospedale prima possibile. All’interno di questo grande progetto ci deve stare la questione complessiva delle ulteriori attività sanitarie. Qualunque soluzione porti al nuovo ospedale mi sta bene. Oggi stiamo lavorando perché il finanziamento pubblico, di 51 milioni di euro, venga appunto potenziato. In questa logica di incremento si guardi alla sanità siracusana, non soltanto sotto il profilo della nuova struttura ma anche sotto il profilo del miglioramento delle strutture territoriali, tenendo conto che abbiamo il grande presidio immobiliare, quello dell’Umberto I che, una volta dismesso, finirebbe nel degrado: come il carcere e tante altre strutture pubbliche».
La sua analisi sull’attuale situazione della sanità in provincia, quando afferma in particolare che «5 ospedali sono troppi», può apparire di rottura, ma è oggettivamente razionale.
«Gli ospedali, come dimostrato dai fatti, restano aperti. Mi sono battuto perché Avola non venisse declassificata, ed è evidente che la zona sud ha bisogno di uno ospedale che sia sintesi delle attività ospedaliere di lungodegenza, riabilitazione e soprattutto di presidio. Tutto questo va ripartito all’interno della zona sud. Gli enti locali hanno già individuato una soluzione mediana, che può soddisfare il territorio e la zona sud».
Una soluzione, osserva Bufardeci, che aiuta le comunità a sopportare il peso di eventuali cambiamenti. «Dividere le strutture ospedaliere in Pta (presidio territoriale di assistenza) e in Pti (presidio territoriale di intervento) nell’ambito dei due ospedali è soluzione che appare razionale. La Conferenza dei sindaci è di mediazione e serve a mantenere le strutture di Avola e Noto nella logica di essere l’una integrata all’altra. E solo nella logica di integrazione si possono superare i contrasti. Se dovessimo poi andare a ragionamenti di non mediazione, dovremmo anche dire che 5 ospedali in tutta la provincia sono troppi. Dobbiamo piuttosto lavorare perché ogni struttura sanitaria continui a lavorare integrandosi con le altre. Nella logica dell’integrazione, senza concorrenza».
I due territori hanno trovato, secondo l’assessore regionale, una soluzione tutto sommato condivisa. «Oggi è cambiata la logica. Abbiamo i distretti. In questi mesi e in questi anni si è fatto tanto. Mancava l’angioplastica h24 e ora c’è. Mancava l’hospice e oggi c’è. E’ arrivato il finanziamento di 13 milioni e mezzo di euro per l’acquisto della radioterapia, di risonanze magnetiche, di tac, pet e mammografia, macchinari che saranno assegnati in tutto il territorio. Si tratta del più importante finanziamento mai avuto in provincia.
Mentre si discute e si continua a polemizzare, noi parliamo con i risultati che abbiamo ottenuto». Per il nuovo ospedale di Siracusa Titti Bufardeci assicura la massima attenzione perché venga incrementato il finanziamento pubblico. «Mi sto battendo perché questo finanziamento sia più congruo per avere un ospedale prima possibile. All’interno di questo grande progetto ci deve stare la questione complessiva delle ulteriori attività sanitarie. Qualunque soluzione porti al nuovo ospedale mi sta bene. Oggi stiamo lavorando perché il finanziamento pubblico, di 51 milioni di euro, venga appunto potenziato. In questa logica di incremento si guardi alla sanità siracusana, non soltanto sotto il profilo della nuova struttura ma anche sotto il profilo del miglioramento delle strutture territoriali, tenendo conto che abbiamo il grande presidio immobiliare, quello dell’Umberto I che, una volta dismesso, finirebbe nel degrado: come il carcere e tante altre strutture pubbliche».
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