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Influenza A, meno paura. Da Londra all'Australia ridotte le stime sui morti.
MILANO. Il movimento revisionista parte dalla Gran Bretagna: dati alla mano, rispetto alle 250mila morti per la nuova influenza A previste dal governo all'inizio dell'epidemia, se ne sono contate a oggi 154. StevenField, chairman del Royal College of GPs (l'associazione che riunisce i medici di famiglia) commenta: «Ho sempre pensato che fosse una stima troppo alta. Gli ospedali sono sotto pressione, ma le persone che muoiono, per fortuna, sono poche». Così il quotidiano inglese Independent ha titolato in questi giorni: «Pandemia? Ma quale pandemia?», ricordando come le stime inglesi sulle vittime per il virus A siano scese da 65 mila di luglio a mille di ottobre nella peggiore delle ipotesi.
Sempre nel mese di luglio il virologo milanese Fabrizio Pregliasco parlava di 15-20mila morti nel nostro Paese, ma finora se ne sono registrate 58 e buona parte in persone che già soffrivano di altre malattie. Tutto questo è accaduto senza, o quasi, la difesa dei vaccini: le campagne di vaccinazione sono appena partite e occorrono almeno 15-20giorni prima che un organismo riesca a costruire difese efficienti contro l'H1N1.
È vero, il virus può sempre cambiare e diventare più aggressivo, ma finora siamo ben lontani dai numeri della spagnola che, con i suoi cinquanta milioni di morti al mondo, rimane la più disastrosa pandemia del secolo scorso, dell'asiatica che, nel 1957-58, di morti ne ha fatti 1,5-2 milioni, dell'Hong Kong (1968-69) con il suo milione di vittime. Il bilancio mondiale della nuova influenza è a quota 6.708.
Anche fra il pubblico sembra sia calata l'ansia dei primi giorni: chi si ammala, guarisce nella stragrande maggioranza di casi, al massimo lamenta una tosse che dura un po' di giorni e una certa stanchezza, qualche volta fastidiosa, ma passeggera.
Forse l'allarmismo è stato davvero troppo, ma ha trovato un complice anche nell'Organizzazione Mondiale della Sanità che, per motivi inspiegabili, ha cambiato, nel maggio scorso, la definizione di pandemia. Come segnala il libro Nuova influenza, firmato Progetto Watchdog, in uscita per Terre di mezzo,la definizione viene riferita, da quel momento in poi, alla diffusione geografica del virus e viene omessa la dicitura «con un enorme numero di morti», prima presente. Il pubblico, però, ha continuato a pensare alla pandemia come ha sempre fatto e cioè a una situazione che comporta un rischio reale per la salute e per la vita.
«Ora abbiamo una soglia più bassa - commenta Tom Jefferson medico epidemiologo dellaCochrane Collaboration, un gruppo di esperti che si occupa di revisione della letteratura medica per definire un qualcosa come una pandemia. E questo rende addirittura discutibile la differenza fra la nuova "pandemìa" e l'influenza stagionale».
A sdrammatizzare la situazione contribuiscono anche i dati che arrivano dall'Australia, dove, con la fine della stagione invernale, l'influenza A ha, per ora, esaurito il suo ciclo.
Su una popolazione di quasi 22 milioni di persone ci sono stati 131 morti: «Si può concludere - commenta Jefferson - che il virus H1N1 non è così minaccioso come lo si è voluto dipingere».
Ma Jefferson si spinge anche più in là: «Si sono spesi miliardi per vaccini e antivirali per i quali non esistono prove inconfutabili di efficacia. E non si sottolinea abbastanza l'importanza delle norme igieniche di prevenzione, anche se,in Italia, Topo Gigio qualcosa sta facendo».
Sempre nel mese di luglio il virologo milanese Fabrizio Pregliasco parlava di 15-20mila morti nel nostro Paese, ma finora se ne sono registrate 58 e buona parte in persone che già soffrivano di altre malattie. Tutto questo è accaduto senza, o quasi, la difesa dei vaccini: le campagne di vaccinazione sono appena partite e occorrono almeno 15-20giorni prima che un organismo riesca a costruire difese efficienti contro l'H1N1.
È vero, il virus può sempre cambiare e diventare più aggressivo, ma finora siamo ben lontani dai numeri della spagnola che, con i suoi cinquanta milioni di morti al mondo, rimane la più disastrosa pandemia del secolo scorso, dell'asiatica che, nel 1957-58, di morti ne ha fatti 1,5-2 milioni, dell'Hong Kong (1968-69) con il suo milione di vittime. Il bilancio mondiale della nuova influenza è a quota 6.708.
Anche fra il pubblico sembra sia calata l'ansia dei primi giorni: chi si ammala, guarisce nella stragrande maggioranza di casi, al massimo lamenta una tosse che dura un po' di giorni e una certa stanchezza, qualche volta fastidiosa, ma passeggera.
Forse l'allarmismo è stato davvero troppo, ma ha trovato un complice anche nell'Organizzazione Mondiale della Sanità che, per motivi inspiegabili, ha cambiato, nel maggio scorso, la definizione di pandemia. Come segnala il libro Nuova influenza, firmato Progetto Watchdog, in uscita per Terre di mezzo,la definizione viene riferita, da quel momento in poi, alla diffusione geografica del virus e viene omessa la dicitura «con un enorme numero di morti», prima presente. Il pubblico, però, ha continuato a pensare alla pandemia come ha sempre fatto e cioè a una situazione che comporta un rischio reale per la salute e per la vita.
«Ora abbiamo una soglia più bassa - commenta Tom Jefferson medico epidemiologo dellaCochrane Collaboration, un gruppo di esperti che si occupa di revisione della letteratura medica per definire un qualcosa come una pandemia. E questo rende addirittura discutibile la differenza fra la nuova "pandemìa" e l'influenza stagionale».
A sdrammatizzare la situazione contribuiscono anche i dati che arrivano dall'Australia, dove, con la fine della stagione invernale, l'influenza A ha, per ora, esaurito il suo ciclo.
Su una popolazione di quasi 22 milioni di persone ci sono stati 131 morti: «Si può concludere - commenta Jefferson - che il virus H1N1 non è così minaccioso come lo si è voluto dipingere».
Ma Jefferson si spinge anche più in là: «Si sono spesi miliardi per vaccini e antivirali per i quali non esistono prove inconfutabili di efficacia. E non si sottolinea abbastanza l'importanza delle norme igieniche di prevenzione, anche se,in Italia, Topo Gigio qualcosa sta facendo».
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