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Assistenza Primaria, SUES 118, Guardia Medica
Assistenza Primaria, SUES 118, Guardia Medica
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Quale piano per la sanità è necessario per i siciliani
Gli assessorati regionali devono interagire per inteccettare i nuovi bisogni che derivano dai mutamenti sociali, economnici e culturali.
IN QUESTI giorni si è finalmente insediata la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale. Istituita con la legge 10 de l9 Ottobre 2008, in attuazione di un decreto legislativo del dicembre 1992, la Conferenza ha impiegato sedici anni per essere approvata e ulteriori dieci mesi, invece dei due previsti, per insediarsi e iniziare il suo qualificato lavoro. L'attenzione al tempo trascorso,lungi dall'essere una pignoleria, vuole sottolineare di quanto siano poco rispettati nella nostra regione gli obblighi relativi alla costituzione di organi così importanti.
E sarà naturale ricordare come l'ultimo piano sanitario triennale della Sicilia rimonti al 2000. I nove anni trascorsi sono stati fra i più tumultuosi della nostra storia sanitaria e avrebbero giustificato iniziative serie di programmazione: per prevenire sprechi, debiti e sforamenti vietati dalla normativa esistente, evitare la minaccia di commissariamenti da parte del ministero della Salute, i richiami della Corte dei conti, la formulazione di piani di rientro, con tagli vissuti dalla popolazione come minacce ai propri livelli di salute. Piani che muteranno l'aspetto del servizio sanitario isolano sotto la spinta di forzati risparmi, anziché come risultato di politiche sanitarie ed economiche aderenti ai cambiamenti demografici, epidemiologici e al progresso medico.
E' mancatol'impegno di una classe politica che avrebbe avuto il tempo di considerare - con gli enti istituzionali, con gli operatori sanitari e i cittadini - come meglio impegnare le risorse umane ed economiche per avere una buona sanità e l'eliminazione di storture, sprechi, malaffare. Oggi i cittadini si augurano che la Conferenza faccia un buon lavoro, anche perché, comeprevisto dalla legge regionale sul riordino del servizio sanitario regionale, a metà dicembre dovremmo avere approvato il futuro piano sanitario regionale triennale. Tuttavia è a questo punto che cominciano a sorgere alcuni dubbi sulla possibilità che, nel rispetto dei tempi, si possa avere il piano.
Sarà un piano sanitario, oppure un piano socio-sanitario? Siaa legge nazionale 328 del 2000 sull'integrazione socio-sanitaria, sia la legge regionale che istituisce la Conferenza parlano di piano socio-sanitario. Così come parla di programmazione socio-sanitaria il decreto del presidente regionale del 5 maggio sulle modalità di funzionamento della Conferenza.
Intanto un decreto presidenziale ha approvato il programma regionale delle politiche sociali e socio-sanitarie 2010-2012, su proposta dell'assessore regionale per la Famiglia. Un programma nel quale la sanità è solo citata, che lascia al futuro piano dell'assessorato alla Sanità l'onere di una difficile integrazione dei servizi sociali e sanitari. Una svista, o una cosciente volontà di non mischiare carte, competenze e bilanci fra assessorati assolutamente autonomi nella spesa e nelle determinazioni politiche?
La normativa nazionale dà rilevanza strategica alla programmazione integrata con il superamento delle iniziative settoriali allo scopo di intercettare i nuovi e diversi bisogni che derivano dai mutamenti sociali, economici e culturali. Ciò risponde in modo adeguato alla complessità dei problemi di salute e alle scelte prioritarie di intervento. È quanto si cerca di fare nei famosi piani di zona distrettuali, nei quali istituzioni locali, sanitarie e sociali cercano di rispondere ai bisogni di salute attraverso l'analisi della realtà sociale ed economica e la messa a punto di iniziative che tengano nel giusto conto i livelli di reddito, la disoccupazione, la mancanza di protezioni sociali la cui influenza sui livelli di salute e sulla speranza di vita è determinante.
Ma ai piani di zona distrettuali non può che corrispondere un piano più generale frutto di analisi regionali e di scelte congiunte degli assessorati regionali, Sanità e Famiglia. Analisi e scelte elfettuate in condizioni di parità senza che i relativi assessori propongano separatamente, come avviene fino a ora, i rispettivi piani.
La differenza non è di poco conto: ormai il concetto di salute non si definisce solo come assenza di malattia ed essa è promossa e garantita paritariamente dai servizi sanitari e da quelli sociali. La povertà, la disoccupazione, l'esclusione sociale sono altrettante minacce per la nostra salute. La legge sull'integrazione socio-sanitaria ha voluto risolvere le contraddizioni di una società come la nostra nella quale ad un servizio sanitario nazionale non ha corrisposto la contemporanea istituzione di un servizio sociale, di protezione della salute anche attraverso il perseguimento di un benessere sociale ed economico.
Non avere creato, pur nel rispetto di una struttura istituzionale come quella regionale siciliana, una tavola rotonda alla quale fare sedere con parità di diritti e doveri gli assessori dei rami interessati all'assistenza socio-sanitaria, non avere creato i presupposti di una programmazione unica che discuta su budget congiunti e su una politica della spesa sociale e sanitaria avente obiettivi complementari, non è la migliore garanzia di una programmazione che finora solo sulla carta può dirsi socio-sanitaria. La nostra regione ha avuto una legge sull'assistenza, la 22 del 1986, che ha anticipato la legislazione nazionale, ma che non ha avuto un'adeguata applicazione perché le è mancato un indirizzo socio-assistenziale integrato ela consapevolezza nel legislatore regionale che a un sistema integrato di servizi deve corrispondere un adeguato sistema di governo del territorio, la condivisione di strumenti di monitoraggio fra gli assessorati regionali.
Certo,il problema della separatezza delle competenze fra rami dell'amministrazione regionale e la possibilità di una loro complementarità in settori di reciproco intervento è da raccomandare a costituzionalisti, prima che agli operatori socio-sanitari. Che, però, vivono le incongruità di una situazione nella quale le loro attività sul campo si scontrano ogni giorno su separati e gelosi esercizi del potere. E, probabilmente,
senza speranze che l'Assemblea regionale provi a creare, qualche giorno, terreni condivisibili fra i diversi rami dell'amministrazione.
E sarà naturale ricordare come l'ultimo piano sanitario triennale della Sicilia rimonti al 2000. I nove anni trascorsi sono stati fra i più tumultuosi della nostra storia sanitaria e avrebbero giustificato iniziative serie di programmazione: per prevenire sprechi, debiti e sforamenti vietati dalla normativa esistente, evitare la minaccia di commissariamenti da parte del ministero della Salute, i richiami della Corte dei conti, la formulazione di piani di rientro, con tagli vissuti dalla popolazione come minacce ai propri livelli di salute. Piani che muteranno l'aspetto del servizio sanitario isolano sotto la spinta di forzati risparmi, anziché come risultato di politiche sanitarie ed economiche aderenti ai cambiamenti demografici, epidemiologici e al progresso medico.
E' mancatol'impegno di una classe politica che avrebbe avuto il tempo di considerare - con gli enti istituzionali, con gli operatori sanitari e i cittadini - come meglio impegnare le risorse umane ed economiche per avere una buona sanità e l'eliminazione di storture, sprechi, malaffare. Oggi i cittadini si augurano che la Conferenza faccia un buon lavoro, anche perché, comeprevisto dalla legge regionale sul riordino del servizio sanitario regionale, a metà dicembre dovremmo avere approvato il futuro piano sanitario regionale triennale. Tuttavia è a questo punto che cominciano a sorgere alcuni dubbi sulla possibilità che, nel rispetto dei tempi, si possa avere il piano.
Sarà un piano sanitario, oppure un piano socio-sanitario? Siaa legge nazionale 328 del 2000 sull'integrazione socio-sanitaria, sia la legge regionale che istituisce la Conferenza parlano di piano socio-sanitario. Così come parla di programmazione socio-sanitaria il decreto del presidente regionale del 5 maggio sulle modalità di funzionamento della Conferenza.
Intanto un decreto presidenziale ha approvato il programma regionale delle politiche sociali e socio-sanitarie 2010-2012, su proposta dell'assessore regionale per la Famiglia. Un programma nel quale la sanità è solo citata, che lascia al futuro piano dell'assessorato alla Sanità l'onere di una difficile integrazione dei servizi sociali e sanitari. Una svista, o una cosciente volontà di non mischiare carte, competenze e bilanci fra assessorati assolutamente autonomi nella spesa e nelle determinazioni politiche?
La normativa nazionale dà rilevanza strategica alla programmazione integrata con il superamento delle iniziative settoriali allo scopo di intercettare i nuovi e diversi bisogni che derivano dai mutamenti sociali, economici e culturali. Ciò risponde in modo adeguato alla complessità dei problemi di salute e alle scelte prioritarie di intervento. È quanto si cerca di fare nei famosi piani di zona distrettuali, nei quali istituzioni locali, sanitarie e sociali cercano di rispondere ai bisogni di salute attraverso l'analisi della realtà sociale ed economica e la messa a punto di iniziative che tengano nel giusto conto i livelli di reddito, la disoccupazione, la mancanza di protezioni sociali la cui influenza sui livelli di salute e sulla speranza di vita è determinante.
Ma ai piani di zona distrettuali non può che corrispondere un piano più generale frutto di analisi regionali e di scelte congiunte degli assessorati regionali, Sanità e Famiglia. Analisi e scelte elfettuate in condizioni di parità senza che i relativi assessori propongano separatamente, come avviene fino a ora, i rispettivi piani.
La differenza non è di poco conto: ormai il concetto di salute non si definisce solo come assenza di malattia ed essa è promossa e garantita paritariamente dai servizi sanitari e da quelli sociali. La povertà, la disoccupazione, l'esclusione sociale sono altrettante minacce per la nostra salute. La legge sull'integrazione socio-sanitaria ha voluto risolvere le contraddizioni di una società come la nostra nella quale ad un servizio sanitario nazionale non ha corrisposto la contemporanea istituzione di un servizio sociale, di protezione della salute anche attraverso il perseguimento di un benessere sociale ed economico.
Non avere creato, pur nel rispetto di una struttura istituzionale come quella regionale siciliana, una tavola rotonda alla quale fare sedere con parità di diritti e doveri gli assessori dei rami interessati all'assistenza socio-sanitaria, non avere creato i presupposti di una programmazione unica che discuta su budget congiunti e su una politica della spesa sociale e sanitaria avente obiettivi complementari, non è la migliore garanzia di una programmazione che finora solo sulla carta può dirsi socio-sanitaria. La nostra regione ha avuto una legge sull'assistenza, la 22 del 1986, che ha anticipato la legislazione nazionale, ma che non ha avuto un'adeguata applicazione perché le è mancato un indirizzo socio-assistenziale integrato ela consapevolezza nel legislatore regionale che a un sistema integrato di servizi deve corrispondere un adeguato sistema di governo del territorio, la condivisione di strumenti di monitoraggio fra gli assessorati regionali.
Certo,il problema della separatezza delle competenze fra rami dell'amministrazione regionale e la possibilità di una loro complementarità in settori di reciproco intervento è da raccomandare a costituzionalisti, prima che agli operatori socio-sanitari. Che, però, vivono le incongruità di una situazione nella quale le loro attività sul campo si scontrano ogni giorno su separati e gelosi esercizi del potere. E, probabilmente,
senza speranze che l'Assemblea regionale provi a creare, qualche giorno, terreni condivisibili fra i diversi rami dell'amministrazione.
18.07.2009
http://www.medpress.it/rass_stampa/rstampa.php?id=2449
Si allarga l'inchiesta sulle doglie scambiate per un mal di pancia Morte al Buccheri, altri undici indagati L'ospedale replicea "Fatto il possibile". Il pm sospetta responsabilità anche per il 118. ALTRI undici medici dell'ospedale Civico e del 118 finiscono sotto inchiesta per la morte di Kawin Bonafede, il bambino nato prematuro domenica scorsa. Il pm Maurizio Agnello ha deciso di ampliare l'indagine dopo avere indagato per «omicidio colposo» una ginecologa dell'ospedale Buccheri La Ferla. I carabinieri hanno sequestrato le cartelle mediche e i referti sul ricovero di Antonina Rubbino, casalinga quarantenne di Piana degli Albanesi. Il magistrato sta anche valutando un possibile atteggiamento negligente da parte degli operatori del 118. L'ambulanza che ha soccorso la Rubbino il giorno in cui è nato il bambino, infatti, non era dotata di culla termica come invece prevede il protocollo in casi di parto imminente. Il 28 luglio sarà eseguita l'autopsia sul feto. Antonina Rubbino e il marito hanno presentato denuncia ai carabinieri di Monreale dopo la morte, mercoledì scorso, del loro quarto figlio. La donna era giunta al sesto mese di gestazione quando nella notte di sabato ha avvertito forti dolori e ha avuto un'emorragia. Ma già nei mesi scorsi la partoriente aveva avuto perdite ematiche che secondo quanto riportato nella denuncia presentata ai carabinieri- sarebbero state sottovalutate. La donna ha dichiarato che, la notte di sabato, «la ginecologa ha prima esitato a visitarmi per l'emorragia troppo abbondante e poi, dopo il controllo, mi ha detto che si trattava solo di un mal di stomaco, prescrivendomi lo Spasmex e rispedendomi a casa». Domenica mattina la corsa in auto nel presidio del 118 dove la donna viene soccorsa da un'ambulanza. Anche in questo caso la denuncia parla di «atteggiamento negligente». «Il medico non credeva che stavo partorendo e solo quando ha visto la testa del bambino ha compreso la situazione - racconta Antonina Rubbino - Mi chiedo per quale motivo mi ha tagliato il cordone ombelicale se non avevano la culla termica. Sapeva che ero al sesto mese. Mio figlio, forse, poteva salvarsi». Intanto, arriva la replica del Buccheri La Ferla, l'ospedale al quale la donna si era rivolta per essere seguita nella sua quarta gravidanza. «La paziente, seguita presso il nostro ambulatorio convenzionato, è stata ricoverata per perdite ematiche alla 21,5 settimana di gestazione - si legge in una nota - Durante la degenza sono stati eseguiti gli accertamenti diagnostici del caso, ma per circostanze non note la paziente decideva inspiegabilmente di dimettersi volontariamente contro il parere dei dirigenti medici dell'unità operativa di ostetricia e ginecologia». A questa affermazione la Rubbino replica a sua volta che «un medico mi aveva detto che la situazione non era così grave e che potevo tornare a casa, ma che dovevo firmare un foglio d'uscita». L'ospedale precisa anche che «il successivo accesso della paziente al pronto soccorso alla 23,5 settimana di gravidanza presentava obiettività negativa e veniva consigliato riposo e terapia antispastica. Costernati per il triste epilogo siamo umanamente vicini alla famiglia, ribadendo di avere effettuato sia in fase diagnostica che terapeutica le procedure del caso».
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