il 118 in sicilia

il 118 in sicilia
In Sicilia il Servizio Urgenza Emergenza Sanitario "S.U.E.S. 118", attivato in maniera sperimentale e provvisoria l' 11 Agosto 1997, è dotato di quattro Centrali Operative interprovinciali presso le provincedi Palermo, Catania, Caltanissetta e Messina. Ogni C.O. è provvista di una rete telefonica sanitaria dedicata solo alla emergenza (118) e indipendente da quella ordinaria, con venti linee dhe afferiscono a cinque posti di operatori; dispone inoltre di una rete privata virtuale dedicata (RPV) che le collega fra loro, con tutti i pronto soccorso e con tutti i reparti dell'area critica degli ospedali dell'Isola (Rianimazioni, Unità coronariche, Neurochirurgie, etc.); ognuna di esse è fornita inoltre di un sistema di registrazione automatico di tutte le telefonate che vi afferiscono. Le Centrali Operative, ciascuna per il proprio bacino, sono raggiungibili dall'utenza componendo il numero telefonico unico e gratuito 1-1-8.

lunedì 17 marzo 2008

Il libro nero della mala sanità


Panorama - 16.03.2008
N. 12 Anno XLVI 20.03.2008 - Primo Piano (pag. 24-32)DonatellaMarino e Antonella Piperno


Scandali italiani. Morti in corsia, errori in sala operatoria, infezioni prese in reparto... In molti ospedali la situazione non migliora. Anzi, una ricerca mostra come le liste d’attesa per visite ed esami continuino ad allungarsi.

L’anno scorso «bastavano» 240 giorni. Adesso per una colonscopia in un ospedale pubblico se ne possono aspettare anche 300. Ma c’è la scorciatoia, spesso nella stessa struttura: in intramoenia: pagando di tasca propria quell’esame si fa in 15 giorni. Idem per la risonanza magnetica: 270 giorni (lo scorso anno 180) contro 10. Sono numeri del rapporto Pit salute 2007, che Panorama ha letto in anteprima: Cittadinanzattiva li presenta il 18 marzo, per i 30 anni del suo Tribunale del malato. Tanti quanti quelli del Servizio sanitario nazionale, introdotto il 23 dicembre 1978. Sarà l’occasione per fare il punto sullo stato di salute della sanità pubblica. Parecchio acciaccata a giudicare dalle notizie di cronaca. Come la donna che al Policlinico di Bari lo scorso novembre, dopo l’asportazione del colon, diceva ai medici di sentirsi malissimo: «Lei ha una forma di depressione acuta, se ne torni a casa». Il giorno dopo è entrata in coma ed è morta. «Qui non c’è il Dottor House, non siamo mica in tv, statevene al vostro posto» si sono sentiti invece apostrofare dai paramedici dell’ospedale Galliera di Genova i figli della signora che a dicembre, dopo una endoscopia, vomitava bile. È morta in due giorni. Storie di malasanità che si sommano agli otto morti di Castellaneta del maggio scorso (l’anestetico era finito per errore nei tubi dell’ossigeno), a quelli di Vibo Valentia, al degrado dell’ospedale calabrese di Melito, appena sequestrato dai Nas. Eppure, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Italia figura al secondo posto, dopo la Francia, per capacità e qualità di assistenza in rapporto alle risorse investite. Malati e cronache si confrontano con una realtà e l’Oms ne fotografa un’altra? Il fatto è che l’Oms tiene conto di parametri quali la lunga aspettativa di vita degli italiani e l’accessibilità per tutti del sistema sanitario italiano, che garantisce dai farmaci per l’influenza al trapianto di rene. Però sorvola su altri fattori. Gli errori. C’è chi, come l’associazione Aiuto (Associazione italiana per l’umanità e la trasparenza negli ospedali), propone stime da brivido: in Italia ogni anno morirebbero 54 mila ricoverati, «come se ogni giorno precipitasse un aereo con 150 passeggeri». L’Ania, associazione nazionale imprese assicuratrici, accusa: 16 mila sarebbero le denunce che riguardano le strutture sanitarie (+41 per cento in 10 anni) e 12 mila quelle relative ai singoli medici (+134 per cento). Va precisato che non sempre queste denunce hanno fondamento.Dice la sua anche il Cineas, consorzio del Politecnico di Milano per la gestione globale dei rischi in sanità: su un totale di 8 milioni di ricoveri l’anno, 320 mila persone subirebbero danni causati dalle cure. Un problema tale che a Roma è attiva da sei anni un’associazione, Periplo familiare, che cerca di risolvere le controversie fra medici e pazienti senza passare dal tribunale: le mediazioni andate a buon fine sono già 1.200.Maurizio Maggiorotti, presidente di Amami (associazione nata sei anni fa per difendere i medici accusati di malpractice) puntualizza: in molti casi si tratta solo di un’operazione di demolizione della classe medica. «Siamo l’anello debole della catena» lamenta. «Le assicurazioni ci hanno aumentato le polizze del 400 per cento». In Italia, sebbene la si invochi da anni, manca un’autorità super partes (come il Nice inglese e lo Jcaho degli Usa) e così ognuno fornisce le sue stime. «Sicuramente gli errori ci sono» conferma a Panorama Ignazio Marino, trapiantolologo di fama e presidente dalla commissione Igiene e sanità del Senato. «Ma in assenza di una raccolta dati trasparente dare numeri è sbagliato». Negli Stati Uniti, informa, gli errori vengono esaminati nella riunione «mortality and morbility». «L’autorità» conclude «potrebbe vigilare sul funzionamento degli ospedali, chiudendo quelli fuorilegge».Molti italiani, in ogni caso, non si sentono in buone mani. Secondo un sondaggio del Cineas, su 1.000 intervistati il 40,9 per cento ha paura di rivolgersi al pronto soccorso, il 29,1 di entrare in sala operatoria, il 23,7 considera ad alto rischio la fase diagnostica, seguita dalla degenza postoperatoria (4,2 per cento) e da quella preoperatoria (3,7 per cento). «I pazienti sono preoccupati» ribadisce Teresa Petrangolini, presidente di Cittadinanzattiva: il Pit salute, basato sulle segnalazioni dei ricoverati, rileva che le aree più a rischio sono ortopedia, oncologia e ginecologia. Per prevenire l’errore e tenersi alla larga da sofferenze e tribunali (solo a Roma per la grande mole di cause c’è un gruppo specializzato di sei pm) fioriscono i manuali di autodifesa: da Salute e diritti dei cittadini (Baldini Castoldi Dalai) della stessa Petrangolini, a Errori. Rapporto su una realtà allucinante di Massimo Di Paola, primario all’ospedale di Bracciano, convinto che l’errore umano sia la conseguenza di una tendenza al risparmio: «Cattiva organizzazione, turni massacranti, scarso personale». La malasanità rimbalza in tv: Canale 5 sta preparando la fiction Crimini bianchi, prodotta da Pietro Valsecchi, anche lui vittima in passato di un errore medico. Già nel mirino dei dottori, che hanno lanciato una petizione online «per boicottare la Mediaset» si ispira a storie vere: dalle ruberie di «Lady Asl» a Roma al caso Castellaneta.Nella vita reale si cercano soluzioni. Cittadinanzattiva con il Cnr punta a più trasparenza nelle cartelle cliniche, indispensabili davanti al giudice: i primi risultati di uno studio in corso rilevano che molti passaggi vengono omessi, difendersi diventa quindi più complicato. Sempre che la cartella arrivi in tempo utile in tribunale: la legge prescrive 30 giorni dalla richiesta, talvolta si aspetta anche due anni.Alcune regioni, a cominciare dalla Lombardia, hanno reso obbligatoria la presenza nelle strutture sanitarie del «risk manager», professionista con il compito di gestire ed evitare i rischi in corsia. «Ma la situazione è ancora a macchia di leopardo» lamenta Carlo Ortolano, direttore del Cineas. Intanto il ministero della Salute ha attivato un monitoraggio sperimentale degli «eventi sentinella», inadempienze gravi che nel 68 per cento dei casi hanno condotto alla morte del paziente e nel 32 per cento hanno causato grave danno, disabilità permanente o nuovi ricoveri, anche in terapia intensiva. Errori chirurgici: la parte sana operata invece di quella malata, complicanze postanestesia, garze dimenticate nella pancia. Un’indagine (ancora parziale) che ha dato vita a 15 linee guida per evitare errori. Otto sono state già diffuse. Il ministero sta elaborando le altre sette, a partire dalla «gestione dei dispositivi medici», compresi i gas che si usano in anestesia. Se applicata avrebbe scongiurato l’errore di Castellaneta.

Reparti a rischio. A Padova, nell’ultimo anno, tre persone sono morte per un’epatite C che avrebbero contratto in ospedale. Un’eccezione? No, le infezioni ospedaliere colpiscono da uno a sette pazienti ogni 100 mila, con un’incidenza tra il 4,5 e il 7 per cento dei ricoveri e la mortalità dell’1 per cento. È vero che in Svizzera l’incidenza si attesta al 13 per cento, ma la Germania è al 3,6. Per ridurre il fenomeno basterebbe seguire procedure standard, dalla più banale, lavarsi le mani (abbatterebbe il 30 per cento di infezioni), al non andare al bar in camice, al non far passare per la stessa via lo sporco (dai rifiuti alle lenzuola) e il pulito, pazienti inclusi. Aggiunge Maria Grazia Pompa, direttore dell’Ufficio malattie infettive del ministero. «Le infezioni danneggiano i pazienti ma sono anche un costo aggiuntivo». E in regioni già in deficit peggiorano i conti. Anche la certificazione di qualità non decolla. Non è obbligatoria, come richiesto da molti. Nel reparto gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’ospedale di Borgomanero (Novara), in assenza d’investimenti pubblici, se la sono fatta finanziare da privati. Costo: 25 mila euro. «Ora dobbiamo seguire procedure precise e documentarle» spiega Pietro Occhipinti, direttore del reparto. «Così usiamo strumenti monouso che garantiscono sterilità e sicurezza per il paziente». Quanti sono reparti e strutture certificate? Il ministero ha avviato una prima rilevazione che si chiude il 31 marzo. Delle 380 aziende sanitarie locali, con un totale di circa 1.000 ospedali, 214 dichiarano di avere un sistema di certificazione della qualità esterno. Laboratori e reparti doc sarebbero solo 1.891 (e con un 6 per cento di certificazioni scadute). Gli addetti ai lavori dicono che con la sola verifica delle certificazioni anticendio (questa sì obbligatoria) non mancherebbero sorprese.


Politica in corsia. «La salute di un cittadino rischia spesso di finire nelle mani di un medico che tra i suoi meriti vanta soprattutto quello di appartenere a un partito» sostiene Marino. «Non è spoils system, ma assoluto dominio della politica. Siamo di fronte a una piaga» incalza Petrangolini. Il perché di tanto interesse lo spiegano i 100 miliardi di euro spesi ogni anno che fanno della sanità la terza impresa italiana, dopo quella manifatturiera e prima di banche e assicurazioni. E poi ci sono appalti, consulenze, affari. Non sempre trasparenti. Ecco il perché di frasi (intercettate) come quella di Domenico Crea, consigliere regionale calabrese con mire sull’assessorato alla Salute: «La sanità ha 3 miliardi e 360 milioni di euro ogni anno, con me sono diventati tutti miliardari». Crea a gennaio è stato arrestato nell’operazione Onorata sanità che ha smascherato un patto tra ’ndrangheta e politici.


Liste d’attesa. Nell’Italia dei Cup, centri unici di prenotazione regionale che con una semplice telefonata dovrebbero assicurare una visita nel minor tempo possibile, succede che per una mammografia si possa aspettare fino a 540 giorni (l’anno scorso erano 400) e per un intervento di cataratta 240 giorni (180 nel 2006). Cittadinanzattiva è convinta che il rispetto dei tempi sia uno dei più violati in Italia. E che oggi l’intramoenia (soprattutto per i controlli dopo gli interventi chirurgici e per i malati cronici) sia presentata come opzione per aggirare le liste d’attesa anziché come possibilità di scegliere un medico specifico. Secondo il Censis la lunghezza delle liste d’attesa è un problema per il 78,7 per cento del campione in Piemonte, dal 77,7 degli umbri, dal 77,9 dei pugliesi e dall’83,5 per cento dei sardi. Intanto quelli del Sud vanno a farsi visitare al Nord, oppure privatamente, rischiando di andare a far parte di quei 400 mila italiani che, secondo l’Oms, ogni anno vanno incontro alla bancarotta per sostenere di tasca propria i costi delle cure. Eppure ci sarebbe una legge, la 120 del 2007 che riordina il lavoro dei medici dipendenti negli ospedali pubblici equiparando il volume dell’attività nel pubblico e nel privato: «Le due liste d’attesa, la pubblica e l’intramoenia (a pagamento), non dovrebbero essere una più lunga e una snella, ma livellarsi» auspica Marino. Ma c’è anche un altro dettaglio: i Cup non sono ancora decollati, per ora funzionano a pieno ritmo solo in Emilia- Romagna, nel Lazio, in Lombardia, in Basilicata, Molise. «E poi puoi anche avere i migliori Cup della terra, ma se gli ambulatori sono aperti solo al mattino, allora è tutto inutile» fa notare Petrangolini. Dopo l’intesa Stato-Regioni del marzo 2006, i governatori hanno adottato il piano di contenimento delle liste. Tra due mesi, quando il ministero divulgherà i dati del primo monitoraggio, si saprà se l’hanno messo in pratica.



Sanità a due velocità. Ci sono problemi organizzativi, ma anche di professionalità. All’ospedale di Forlì, per esempio, i farmaci vengono tenuti in sacchetti con il codice a barre, per evitare scambi, mentre «a Vibo Valentia i medici non avevano mai eseguito una tracheostomia, intervento semplice e salvavita» segnala Marino. Rincara Cesare Cursi, della commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia del sistema nazionale sanitario: «L’attività della commissione ha evidenziato un’Italia divisa in due. Nel Centro-Sud esistono situazioni, soprattutto gestionali, aberranti. Oltre aVibo, Castellaneta e al Policlinico Umberto I di Roma, Giaccone e Villa Sofia a Palermo hanno carenze organizzative preoccupanti. A Villa Sofia è stato rimosso il direttore sanitario». È al Sud-Isole che, secondo il Censis, si registra la quota più alta di cittadini (8,6 per cento) che ha subito danni durante il ricovero. «La legge 120 del 2007 ha stabilito che se un amministratore non utilizza i soldi per ammodernare le strutture, e in Finanziaria sono stati stanziati 3 miliardi di euro, può essere rimosso» ricorda Marino. «Non è ammissibile che 1 milione di cittadini si spostino dal Sud al Nord per curarsi». Intanto però, nell’Italia del federalismo sanitario, succede. Con la Lombardia che da sola calamita il 20 per cento dei pazienti in trasferta: anche l’ex governatore della Sicilia, Salvatore Cuffaro, quando il padre è stato male l’ha portato a Verona. La Sicilia insieme a Lazio, Abruzzo, Campania, Liguria e Molise è fra le regioni che hanno ricevuto il richiamo del ministro Tommaso Padoa-Schioppa per i bilanci in rosso. Per il servizio sanitario l’Italia spende 100 miliardi di euro (il il 47 per cento della spesa pubblica) pari a 1.688 euro pro capite. Ma come vengono investiti? Il dossier Osservasalute dell’Università Cattolica di Roma parla di «rapporto ampiamente variabile a livello regionale». E non è detto che a maggiore spesa corrisponda un miglior servizio: la Lombardia, secondo il rapporto, investe il 4,66 per cento del pil (contro una media nazionale del 6,9), la Basilicata e la Campania rispettivamente l’8,77 e il 9,89 per cento. Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia sono classificate «con bassi livelli di spesa e scarsi risultati nella funzionalità dei servizi e per la salute della popolazione». Lazio, Campania e Calabria sono anche le regioni con le percentuali più alte di posti letto privati. Non mancano le preoccupazioni sui piani di rientro dal deficit: «Il rischio» si legge nel rapporto «è che per alcune regioni questo percorso stia avvenendo a discapito della quantità e della qualità dei servizi». Solo per il Lazio i tagli nel 2008 ammonteranno a 585 milioni. A farne le spese sono spesso posti letto e servizi piuttosto che appalti e consulenze d’oro. Sprechi, questi sì trasversali, che spesso finiscono in procura, come nel caso del San Giovanni di Roma, l’ospedale che per un presunto errore di un computer ha gonfiato i numeri dei ricoveri moltiplicando i costi per pasti e lavanderia. Un regalo di 5,7 milioni di euro. «Prima della caduta del governo la commissione parlamentare d’inchiesta aveva iniziato a occuparsi delle truffe al sistema sanitario e dei controlli sui bilanci» racconta Erminia Emprin (Rifondazione comunista). «Adesso si sta accertando che quello del San Giovanni fosse davvero un errore informatico». Solo in Lazio 40 milioni di euro di danni al contribuente Danni all’erario per 40 milioni di euro: è il recente bilancio della procura regionale della Corte dei conti del Lazio. Fra le istruttorie concluse quelle sulla Asl di Roma (Rm/B e Rm/C) per falsi mandati di pagamento da parte di amministratori. Altro caso: truffa in una fornitura di protesi dentarie all’interno di un programma regionale: danni per oltre 400 mila euro. E poi gli ospedali. Irregolarità nell’allestimento di sale operatorie al Santo Spirito, sempre a Roma, ammontano a oltre 2,2 milioni. Diverse le istruttorie sul Policlinico Umberto I: per consulenze (un incarico al coniuge di un dirigente) e per assenteismo. Una è in corso al S. Giovanni per ammanchi per 5,7 milioni di euro. «La conseguenza? Tagli ai servizi» commenta Fabrizio Santori, responsabile per le politiche municipali del Pdl a Roma.



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Internet diventa uno sportello per i video di denuncia La rete come sportello virtuale: le vittime di malasanità scrivono le proprie storie su blog e forum. E le associazioni in difesa dei pazienti hanno nei loro siti spazi per reclami e denunce. Cittadinanzattiva, per esempio, ha un numero di cellulare dove inviare foto e filmati fatti col cellulare, che poi vengono messi online. Anche Youtube è ricco di contributi di malati e familiari che documentano disservizi e degrado: cani in corsia, cumuli di spazzatura nei cortili, gente che dorme e fuma in pronto soccorso, vassoi e piatti sporchi in corridoio, code chilometriche, attese infinite, impiegati scortesi agli sportelli...

16.03.2008
DonatellaMarino e Antonella Piperno
http://www.medpress.it/rass_stampa/rstampa.php?id=739

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Rimuovere i graffi dai cd in cinque minuti


Eccovi alcuni metodi casalinghi, mediante i quali dovreste essere in grado di rimuovere i graffi dalla superficie dei cd.Le superfici dei cd o dei dvd sono molto delicate. Infatti, basta una scorretta conservazione, ed ecco che la superficie di esso si striscia. Se avete sperimentato tutto quanto era nelle vostre conoscenze, ma non avete ancora risolto il problema, vi indichiamo altri metodi, mediante cui dovreste essere in grado di rimettere in sesto i vostri cd o dvd. Tuttavia, sia bene chiaro, quelle sotto riportate devono essere intese come "ultime spiagge", ossia soluzioni utilme al problema, cui ricorrere soltanto quando non c'è proprio più niente da fare. Di conseguenza, non ci assumiamo nessuna responsabilità nel caso in cui non riusciste a pervenire al risultato sperato. In sostanza, non vi assicuriamo che i vari metodi proposti possano effettivamente funzionare. Primo metodo – Il dentifricio Cosa vi serve: Un cd da pulire Dentifricio (possibilmente a pasta bianca e non colorata, senza granuli) Acqua di rubinetto Un batuffolo di cotone Un panno morbido Dieci minuti di tempo Sul mercato esistono dei costosissimi kit di riparazione, ma con questo metodo non servono. Prendiamo il supporto da pulire e mettiamoci sopra del dentifricio. Con un batuffolo di cotone leggermente inumidito (o con le mani, se preferite) spalmiamo per bene il dentifricio lungo tutta la superficie del cd, anche se ne è strisciata solo una piccola parte. Lasciamo agire il dentifricio per cinque minuti. Quindi prendiamo il cd e, sotto l’acqua corrente, togliamo con le mani ogni residuo di dentifricio. Quando abbiamo rimosso tutto il dentifricio, asciughiamo il supporto con un panno morbido e, voilà, la superficie ora è ben levigata! Ovviamente, devo ricordarvi che se la superficie presenta graffi profondi, questi potrebbero non venir via, neppure se lasciaste agire il dentifricio per giorni e giorni. Secondo metodo – La banana E' possibile rimuovere i graffi dai cd anche con questo frutto esotico, ma la procedura è un po’ più lunga. Cosa vi serve: Un cd da pulire Un pezzo di banana (con la sua buccia, da utilizzare in seguito) Un panno morbido Acqua di rubinetto Quindici minuti del vostro tempo Prendiamo il supporto da pulire e strofiniamoci sopra la polpa della banana con movimenti circolari. E' necessario strofinare tutta la superficie del cd. Lasciamo agire la polpa sul support per 5 minuti. Ripuliamo la superficie con la parte interna della buccia . Laviamo il supporto con acqua e asciughiamolo con un panno morbido.Anche per quanto riguarda questo metodo, è nostro dovere segnalare che i graffi molto profondi potrebbero non sparire, anche dopo giorni e giorni di duro lavoro.

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