La Repubblica
Ed. del 07.07.2011 - Palermo - pag. IV
Giusi Spica
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Costa, leader dei medici Cgil: troppi favori ai privati, operatori demotivati
"La confusione regna negli ospedali, che funzionano grazie all'abnegazione di chi ci lavora"
«Privatizzazioni subdole e progressive, servizi pubblici inaccessibili, pazienti insoddisfatti e operatori demotivati: la riforma della sanità in Sicilia è un fallimento totale». La bocciatura senza appello arriva dal segretario della Cgil medici, Renato Costa, che, a due anni dall’entrata in vigore della legge regionale sul riordino della sanità, fa il punto sugli «obiettivi mancati». Al dibattito, in programma oggi nella sede dei sindacato in via Casella, sono attesi non solo camici bianchi e operatori del settore, ma anche deputati e segretari dei partiti di centrosinistra. Un confronto che, di fatto, rompe un periodo di “tregua armata”.
La recente relazione della Corte dei Conti registra che, rispetto allo scorso anno, è diminuita la spesa nel pubblico ma è aumentata quella nel privato. Come legge questa tendenza?
«E evidente che il denaro è stornato nel privato a tutto svantaggio del pubblico. Lo dimostra il recente tentativo dell’assessorato regionale di ampliare le competenze ambulatoriali anche alle cliniche private, per fortuna naufragato grazie allo stop della sesta commissione dell’Ars. Come se non bastasse, il compito di costruire le eccellenze è stato delegato ai privati: al Bambin Gesù, alla fondazione Maugeri, al San Raffaele di Cefalù. Strutture rispettabili sotto il promo della qualità, ma troppo costose per un sistema che non riesce a mantenere in vita nemmeno i livelli minimi di assistenza nel servizio pubblico, dove il personale è stato falcidiato da leggi nazionali e regionali, le risorse economiche sono sempre più ridotte e le liste d’attesa si allungano inarrestabilmente. Un cocktail micidiale che spesso rende inaccessibile per il cittadino il servizio pubblico. Un esempio? Provi a prenotare una mammografia».
Di recente è stato inaugurato il Centro di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica del Mediterraneo a Taormina, dato in gestione al Bambin Gesù, e a breve la cardiochirurgia del Civico verrà trasferita all’Ismett. Siete favorevoli?
«È incomprensibile come si possa spostare un’attività di cardiochirurgia pediatrica sottraendola a una città che ha ben 5 unità di terapia intensiva neonatale (Utin) per portarla in una periferia, accanto a un piccolo ospedale sprovvisto di Utin. E questo, in violazione degli stessi decreti assessoriali. La stessa logica irrazionale si è usata per la cardiochirurgia adulti. Un’operazione ragionevole nell’ottica della razionalizzazione sarebbe stata accorpare i reparti del Civico e del Policlinico. Invece, si preferisce, delegare tutto all’Ismett, istituto ufficialmente a maggioranza pubblica ma che gestisce l’attività come un privato: non si conoscono i percorsi di accesso alla struttura da parte dei pazienti e i contratti di lavoro che verranno applicati al personale. Il risultato è che Palermo non disporrà più di due cardiochirurgie pubbliche. Spero solo che qualcuno abbia valutato la capacità di questa operazione di reggere la domanda assistenziale».
Qual è il clima in cui oggi si lavora nelle strutture pubbliche?
«Gli operatori sono demoralizzati, le strutture fatiscenti e i materiali sanitari spesso insufficienti. Se il sistema regge in qualche modo, lo si deve all’abnegazione di questi operatori».
Qual è, secondo lei, lo stato di avanzamento della riforma sanitaria?
«Quella legge, tanto rivoluzionaria sulla carta, è di fatto rimasta lettera morta La confusione regna sovrana nei nostri ospedali e la medicina territoriale esiste solo in virtù di qualche propagandistico taglio di nastro. Un fallimento su tutti i fronti».
La recente relazione della Corte dei Conti registra che, rispetto allo scorso anno, è diminuita la spesa nel pubblico ma è aumentata quella nel privato. Come legge questa tendenza?
«E evidente che il denaro è stornato nel privato a tutto svantaggio del pubblico. Lo dimostra il recente tentativo dell’assessorato regionale di ampliare le competenze ambulatoriali anche alle cliniche private, per fortuna naufragato grazie allo stop della sesta commissione dell’Ars. Come se non bastasse, il compito di costruire le eccellenze è stato delegato ai privati: al Bambin Gesù, alla fondazione Maugeri, al San Raffaele di Cefalù. Strutture rispettabili sotto il promo della qualità, ma troppo costose per un sistema che non riesce a mantenere in vita nemmeno i livelli minimi di assistenza nel servizio pubblico, dove il personale è stato falcidiato da leggi nazionali e regionali, le risorse economiche sono sempre più ridotte e le liste d’attesa si allungano inarrestabilmente. Un cocktail micidiale che spesso rende inaccessibile per il cittadino il servizio pubblico. Un esempio? Provi a prenotare una mammografia».
Di recente è stato inaugurato il Centro di cardiologia e cardiochirurgia pediatrica del Mediterraneo a Taormina, dato in gestione al Bambin Gesù, e a breve la cardiochirurgia del Civico verrà trasferita all’Ismett. Siete favorevoli?
«È incomprensibile come si possa spostare un’attività di cardiochirurgia pediatrica sottraendola a una città che ha ben 5 unità di terapia intensiva neonatale (Utin) per portarla in una periferia, accanto a un piccolo ospedale sprovvisto di Utin. E questo, in violazione degli stessi decreti assessoriali. La stessa logica irrazionale si è usata per la cardiochirurgia adulti. Un’operazione ragionevole nell’ottica della razionalizzazione sarebbe stata accorpare i reparti del Civico e del Policlinico. Invece, si preferisce, delegare tutto all’Ismett, istituto ufficialmente a maggioranza pubblica ma che gestisce l’attività come un privato: non si conoscono i percorsi di accesso alla struttura da parte dei pazienti e i contratti di lavoro che verranno applicati al personale. Il risultato è che Palermo non disporrà più di due cardiochirurgie pubbliche. Spero solo che qualcuno abbia valutato la capacità di questa operazione di reggere la domanda assistenziale».
Qual è il clima in cui oggi si lavora nelle strutture pubbliche?
«Gli operatori sono demoralizzati, le strutture fatiscenti e i materiali sanitari spesso insufficienti. Se il sistema regge in qualche modo, lo si deve all’abnegazione di questi operatori».
Qual è, secondo lei, lo stato di avanzamento della riforma sanitaria?
«Quella legge, tanto rivoluzionaria sulla carta, è di fatto rimasta lettera morta La confusione regna sovrana nei nostri ospedali e la medicina territoriale esiste solo in virtù di qualche propagandistico taglio di nastro. Un fallimento su tutti i fronti».
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